Due quadrati – due mondi: piccoli, ristretti, separati. Talvolta una spoglia geometria riesce a suggerire molto di più di sofisticate e sontuose scenografie. È questo il caso di A Slow Air (di David Harrower), presentato da Giampiero Rappa sulla scena spoglia del Teatro Argot. Due quadrati, appunto, come due isole, tracciati a pochi passi uno dall’altro: basterebbe appena un salto, un piccolo balzo, per approdare all’altra sponda, ma tutto è fermo, distante, irraggiungibile.
Indigeni dei loro spazi, due fratelli scozzesi non si parlano da quattordici anni. A sinistra Athol, pacato, piastrellista, sposato, con un cane, poche miglia da Glasgow. A destra Morna, impulsiva, domestica nelle case per ricchi, single, con un figlio, periferia di Edimburgo. Lui ascolta i Simple Minds, lei gli U2. Come nella migliore skaz gogoliana, si tratta di differenze superficiali, contraddizioni apparenti, che non spiegano la distanza ma tentano di giustificarla.
A dividerli, infatti, non è tanto quell’incidente più volte evocato e rivelato solamente nel finale, quanto un diverso modo, complementare in fondo, di reagire all’immobilità dei rapporti, a una storia famigliare stantia: lui assecondando l’inerzia dei genitori, lei rifiutandola. Nessuno, però, l’ha spuntata, entrambi stagnano in una vita monotona, piatta, regolare proprio come i quadrati in cui rimangono incastrati – incapaci di evadere, di riavvicinarsi, di riappacificarsi. Come suggerisce il titolo, è “un’aria fiacca” che spetta alle nuove generazioni spezzare.
Grazie a una severa alternanza di luci (Mauro Bonifante) che rapisce la parola nel buio, il dialogo è negato: solo quando i fari illuminano la propria isola è concesso parlare (ma il gioco non ha quella crudeltà esasperante del Play di Beckett). Con una parlantina sciolta, dal sapore settentrionale, Nicola Pannelli e Raffaella Tagliabue raccontano Athol e Morna: riescono a divertire pur senza mai muovere un passo dai loro quadrati e quando infine quei rigidi spazi si apriranno, la loro fragilità saprà perfino commuovere.