L’Ultima Parola è dei Pavoni – Maria Francesca De Stefanis
Poniamoci subito una domanda: chi non vorrebbe essere in confidenza con una star, incontrarla, frequentarla, e, perché no, magari andarci insieme in viaggio? Molti sentiranno già nella testa uno strano ronzio sussurrare: Sarebbe bellissimo, ma è impossibile. A me, queste cose, non capiteranno mai. Probabile, eppure L’ultima parola è dei pavoni, scritto e diretto da Maria Francesca De Stefanis, in scena al Teatro dell’Orologio per la rassegna Her’s teatro femminile plurale (per saperne di più clicca qui), che evoca la storia della scrittrice americana Flannery O’Connor, trasforma un semplice scambio epistolare con A., sua giovane lettrice ed ammiratrice, in un’amicizia concreta in carne e ossa, vien da dire , leale e duratura.
È una figura assente, la prima: nient’altro che un nome e un cognome d’inchiostro fissato sulla carta, e richiamato, riletto. Forte presenza, invece, la seconda, nel corpo, nella voce e nella dirompente energia interpretativa di Tamara Bartolini abito giallo, tacchi e ricci ribelli tenuti da una fascia rossa, a ricordare gli anni Cinquanta ; anonima identità, definita da una sola iniziale, che è insieme narratrice, protagonista, attrice e mattatrice: oratrice di ricordi, di emozioni, di dolori, di frasi un tempo dette e ora, davanti a noi, ripetute, riassaporate.
Tre isolette concentriche sulle quali sono appoggiati dei libri, un telefono, un piccolo scrigno porta-lettere, e un leggio sono la scenografia di questo luogo astratto, mentale, dove tempi, spazi ed eventi storici e biografici compresa la passione per i pavoni e il loro misterioso linguaggio – si sovrappongono in un concitato percorso di parole, sguardi, e respiri.
Fra musiche e fasci luminosi, spasmi danzanti e (auto)citazioni parodistiche, scopriamo cosa accade al cuore quando l’incredulità diventa palpitazione, l’illusione lascia il posto alla speranza, e l’ammirazione si arricchisce di sincero e permanente affetto. Una frizione emotiva improvvisa che si avverte proprio quando le differenze si assottigliano, quando non ci sono più il fanatico e il beniamino, ma due esseri umani stretti in un legame di rispetto, fiducia e complicità.
E se fosse questa l’amicizia? Quella vera, onesta, che supera distanze, dolori e persino la vita stessa? Forse, per vedere che aspetto ha, dovremmo provare a guardarci da fuori, con occhi fissi, spietati e smaliziati come quelli dei pavoni. Perché loro, dall’alto della superba e vanitosa ruota colorata, sicuramente hanno già la risposta.
Teatro dell’Orologio, Roma – 9 novembre 2014