Che nessuno si spaventi: sì è la Carmen di Bizet, sì danza contemporanea, sì al Brancaccio, ma non c’è nulla da temere, è tutto più familiare di quel che sembri. E non perché a portarla in scena sia una danzatrice eclettica come Dada Masilo, o perché le musiche giochino su diversi arrangiamenti (Rodion Ščedrin: ascolta qui), o perché al canto lirico venga preferita la vivacità della lingua africana, ma perché a spaventare in realtà è solo l’idea ingessata dell’opéra: chiedete all’omonima protagonista chi sia e scoprirete che c’è davvero poco velluto rosso nel suo sangue gitano.
Oggigiorno abbiamo un’immagine un po’ decadente degli zingari, perché il nomadismo è uno stile di vita tacitamente bandito, temuto e discriminato dalla stanziale società contemporanea. Eppure evocando appena qualche immagine come le vecchie fiere itineranti, i carrozzoni dei circensi, lo sfavillare di vesti colorate attorno a un falò, o anche solo l’irresistibile jazz manouche à la Django Reinhardt, che tutto cambia. E questo difatti è Carmen, un’indomita ragazza gitana che col suo spirito sensuale e ribelle spaventa e attrae irresistibilmente. Chi? Il sergente Don José, ovvero la rigida e affettata società dell’Ottocento, vale a dire insomma gli antenati del nostro insensibile moderno capitalismo.
Ed è proprio da questo gioco di temperature che nasce la rilettura coreica di Dada Masilo. In una modernità dove l’inafferrabile vitalità zingara, dunque, è schiacciata nell’emarginazione, la danzatrice di Johannesburg rivitalizza la novella di Mérimée (da cui è tratta la storia) tingendola di vivaci tinte tribali. È così che la coralità del contesto andaluso si innesta perfettamente nella nuova cornice africana (implicita ma palpabile), trasportando nell’immaginario contemporaneo – senza alcuna scollatura – lo scontro sociale che emergeva nell’opera di Bizet (di cui la battaglia dei sessi non è che un micro-risvolto).
Carmen dunque come «poesia» (questa la radice latina del nome) selvaggia, come danza dolce e sfrenata che vive l’amore istintivamente, come passione che accende gli uomini e li incanta. Ma nelle mani di un don José che non sa rinunciare alle sue certezze borghesi quell’amore travolgente è solo un eccitante cubetto di ghiaccio che a stringerlo scivola via e a divorarlo lascia insensibili.
Con grande intuizione la coreografa sudafricana trasformerà l’omicidio della protagonista in uno stupro, dove a emergere, sintomatico ed eloquente, sarà il ritratto di un uomo “civilizzato” che, incapace di concepire un modo di vivere costantemente precario, finisce per corrompere e sopprimere l’anomalia che tanto lo aveva ammaliato. Accantonando le possibili obsolescenze di canto lirico e ballet, Dada Masilo ci restituisce, così, una Carmen immediata, fedele e penetrante.
Teatro Brancaccio, Roma – 1 novembre 2014
In apertura: Foto di scena ©John Hogg