Cinque allegri ragazzi morti.Il Musical Lo-Fi – Eleonora Pippo
In vent’anni i Tre allegri ragazzi morti – storica formazione indie rock friulana – si sono costruiti una foresta fitta di simboli, un mondo di canzoni e personaggi talmente definito che sono riusciti a contagiare altre forme artistiche. Ecco quindi che il musical, i fumetti e la musica confluiscono sul palco romano del Teatro Vascello, in uno spazio informale, scarno e illuminato.
Diretto dalla regista pordenonese Eleonora Pippo, Cinque allegri ragazzi morti. Il Musical Lo-Fi è per l’appunto un musical in cui si riadatta l’omonimo fumetto di Davide Toffolo (fondatore e frontman del gruppo): la storia di cinque adolescenti che muoiono in seguito a un rito voodoo e diventano zombie, costretti a cibarsi di carne umana e a rifiutare l’amore. Toffolo interpreta Dylan, una rockstar che si lascia cadere tra i binari della metro: primo a trasformarsi in ragazzo morto, il cantante si sposta al lato del palco e con la chitarra intona sottovoce i suoi testi, lasciando rivivere i suoi personaggi. Appaiono allora Elisa (Mimosa Campironi) lo spirito di una ragazza in coma, Mario (Libero Stelluti) stanco di sentirsi inadeguato, un giovane dal cuore debole (Matteo Vignati), Sabina (Maria Roveran) una ragazza lupo ferocemente animata dall’odio di tutte le donne: sono loro che cantano, suonano, ballano e danno corpo alle canzoni della band friulana.
Purtroppo, però, c’è qualcosa che non va in questo musical effettivamente lo-fi (low-fidelity, ovvero “poco fedele”). E non per l’informalità che si respira in scena, ma per una sceneggiatura debole che non sfrutta al massimo il materiale a disposizione, e per le coreografie che lasciano in realtà alquanto indifferenti. Non si lavora abbastanza sulle metafore che popolano l’universo di Toffolo, perché ad accomunare un quindicenne milanese a un morto vivente c’è un territorio chiamato adolescenza, quella sensazione di inadeguatezza che si vive combattendo una guerra a mani nude contro il mondo.
Perché il testo, le canzoni, l’espressione di sfida e la bella voce della Roveran (di cui ci aveva già dato prova nell’intenso Piccola Patria di Alessandro Rossetto) non sono stati combinati a dovere. Si assiste purtroppo ad un’alchimia irrealizzata tra tutte le componenti artistiche, tra le canzoni che raccontano di vite vissute ai bordi, di amori disperati ma non troppo, di giovinezze in lotta e una sceneggiatura basata esclusivamente sulle poche battute tratte da L’alternativa, uno degli episodi del fumetto.
Nonostante troppe cose non convincano resta il fatto che l’idea di interazione tra un teatro giovane e la musica indipendente è senza dubbio un panorama costellato di buone prospettive, che staremo a guardare incuriositi.
La serata finisce con un unplugged dei TARM, voce e strumenti nudi, con il pubblico che invade l’intimità del palco. Che si stia facendo a pugni con l’adolescenza o che la si riviva da reduci, riascoltarli ha riportato tutti all’inizio del sentiero, in quella foresta popolata da cacciatori e ragazze che camminano a occhi bassi.