Mare Nostrum – Elena Grimaldi
Se una notte vi ritrovaste faccia a faccia con uno sconosciuto, se aiutare quell’essere umano comportasse non pochi pericoli, se il vostro paese vi imponesse di vedere lo straniero come un male da estirpare, come vi comportereste? Questi e altri quesiti pone lo spettacolo Mare Nostrum messo in scena dagli allievi dell’Accademia Silvio d’Amico nell’ambito del Festival Contaminazioni, ospitato all’interno del Teatro dell’Orologio. Per la pièce inedita di Elena Grimaldi è stata scelta, forse non a caso, la sala Gassman, piccola e angusta, dunque perfetta per ricreare l’habitat della storia, l’interno di una grotta dove restano imprigionati i protagonisti.
Sulle note di Guarda che luna di Fred Buscaglione si apre la scena: è notte, una coppia di pescatori, Salvo e Maria, stanno per rientrare da una battuta di pesca, quando succede l’imprevedibile, i due s’imbattono nel corpo di Nawal, una giovane clandestina in cerca del fratello minore, naufragata probabilmente poche ore prima. È da qui che parte la storia, quella vera, fatta di esitazioni, ricordi struggenti, sensi di colpa, ma anche sentimenti e carità umana portati come baluardo da un’accorata e impeccabile Maria e raccolti con qualche difficoltà e diffidenza da Salvo, un povero pescatore vittima di luoghi comuni e cattiva informazione. Quando la trama sembra ormai percorrere la via maestra, un quarto personaggio interviene a complicare l’intreccio: è Nunzio, una guardia costiera determinata a dare la caccia ai clandestini, descritti quasi come bestie non come esseri umani.
È proprio su questo punto che lo spettacolo incalza di più: la società, l’opinione pubblica e il mondo dell’informazione spingono le persone alla diffidenza, a temere l’altro senza riconoscerlo come fratello, come persona portatrice di una storia e di sofferenza. Solo il cuore di una madre, quello di Maria, riesce a fare luce su tanta nefandezza e a riconoscere quella giovane donna come qualcuno da aiutare, calandola nelle vesti di quel figlio che il mare nostrum le ha portato via, senza sapere né come né quando.
Un mare di tutti, che decide della vita e della morte, che va assecondato e il quale è impossibile controllare. E infatti all’improvviso la marea sale e i quattro restano imprigionati nella claustrofobica grotta dove sono costretti a confrontarsi, a conoscersi, a capire che in fin dei conti siamo tutti uguali. La sofferenza, l’amore, il timore e purtroppo l’ignoranza sono condizioni esistenziali universali: nessuno vi può sfuggire ma tutti possono essere responsabili delle proprie azioni. Così come Salvo che, nella sua semplicità, decide di fare la cosa che gli sembra più giusta, non curante dei pericoli ma solo della propria coscienza di uomo e padre.
Un mare nostrum sui generis, lontano dalla triste cronaca, ma pieno di energia e ironia, veracemente portata sul palco dall’esordiente cast che si dimostra all’altezza delle aspettative regalando, soprattutto nei monologhi attimi di tenera poesia e riflessione.
Foto di Davide Giannetti ©