È di scena al Teatro Argentina di Roma Orchidee, l’ultimo spettacolo di Pippo Delbono, che ha debuttato lo scorso maggio a Modena. Si tratta di una coproduzione che vede affiancati enti italiani (su tutti Emilia Romagna Teatro Fondazione) e stranieri (il parigino Théâtre du Rond-Point e la Maison de la Culture d’Amiens). Via internazionale frequente negli ultimi anni per le opere di uno degli uomini di teatro italiani dalla grandezza maggiormente riconosciuta oltreconfine.
Pippo Delbono è un artista la cui estetica è estremamente solida, un regista che crea a partire dalla propria interiorità e visione del mondo e che si serve solo a posteriori di testi della tradizione per veicolare la sua necessità espressiva e non viceversa. Gli spettacoli di Delbono sono opere d’arte che utilizzano il linguaggio teatrale al suo massimo, in cui il testo è solo una delle forme in cui si trasmette la comunicazione allo spettatore, avendo pari peso compositivo la musica e il video, le luci e la danza.
Orchidee, si inserisce quindi perfettamente nella teatrografia di Delbono, riproponendo molte delle caratteristiche strutturali delle precedenti grandi rappresentazioni del regista di Varazze (come Il silenzio, La menzogna, Questo buio feroce): le scene corali della vasta compagnia costruita negli anni da Delbono; la presenza di un regista-attore, in continuo movimento tra la scena e il fuoricampo della cabina dei tecnici, la cui voce narrante scandisce e dà forma alla rappresentazione; la giustapposizione creativa di testi di forma e origine diversa (Amleto, Romeo e Giulietta, Il giardino dei ciliegi, ma anche Child in Time dei Deep Purple, il Nerone di Mascagni, Sulla Strada, Pasolini, Joan Baez e tanti altri in un potente montaggio di frammenti di poesia e bellezza); il ritorno a tematiche chiave dell’ultimo Delbono come l’elaborazione del lutto per la morte della madre, gli intermezzi di estrema liricità accostati all’ironia o al più duro realismo, la danza come luogo deputato per l’espressione libera della soggettività.
Orchidee, simbolo di bellezza e di morte, di verità e finzione. Uno spettacolo dalla studiata partitura e dalla potente estetica in cui Delbono va alla ricerca di un senso per l’amore e la bellezza, per la fede e la speranza in un tempo che corre e urla senza fini e senza fine. La ricerca di uno squarcio di bellezza, quindi di senso, in un mondo che sempre più la bellezza plastifica e vilipende, di un amore al di là dei limiti del corpo, della morte, della marginalità a cui danno umana e commovente grandezza le esistenze, più che le interpretazioni, degli attori in scena, famiglia vera, come può testimoniare la storia di Bobò, da anni presenza fissa negli spettacoli di Delbono, un uomo sordomuto che il regista ha preso in affido e tirato fuori dal manicomio dove era rimasto per quarantacinque anni.