Roman Polanski

Roman Polanski

100 registi (e tantissimi film) che migliorano una vita

“Ognuno sta solo sul cuor della terra” scriveva Quasimodo. Per il poeta la solitudine è insita in ogni uomo. Roman Polanski è riuscito a rendere questa irrimediabile condizione attraverso le immagini. Dotato di un estro raro che gli ha permesso di girare capolavori come Rosemary’s baby, L’inquilino del terzo piano e Frantic, si può affermare che il suo è il cinema dello smarrimento.

Lo smarrimento deriva dall’angoscia provocata dall’oppressione degli altri esseri umani che genera nei suoi personaggi un senso di incomunicabilità, impedendo ad essi di reagire alle loro pressioni, facendoli cedere e perdersi negli abissi della follia. Altra peculiarità dei suoi film è la capacità di rendere gli spazi protagonisti delle vicende, sia gli interni che gli esterni; esaltati dal grande talento che traspare dall’uso della fotografia e delle luci, i primi sono resi come oscuri labirinti senza uscita, i secondi come luoghi dove è impossibile far scaturire una sorta di empatia con essi, facendo emergere un senso di fredda inospitalità.

In particolare queste caratteristiche emergono nel già citato Frantic, in cui si narra la disperata indagine di un medico statunitense a Parigi, dove degli sconosciuti hanno rapito sua moglie: un uomo comune che si è smarrito in una città che gli è nemica, incapace di pronunciare una sola parola di francese e costretto ad essere una pedina all’oscuro di un gioco più grande di lui. Affascinato dall’esoterismo, ha affrontato questo tema tenendosi a distanza da quelli che sono i più comuni cliché del cinema horror mantenendo l’ambigua attrazione che questo genere di pellicole genera negli spettatori grazie al suo stile che predilige la creazione di un’atmosfera efficace senza lo sfruttamento di tecniche o effetti speciali eccessivi.

Da sottolineare anche l’abilità nel dirigere lungometraggi caratterizzati da una messinscena teatrale; La morte e la fanciulla e Carnage sono esempi di teatro filmato dove il regista ha rinunciato a virtuosismi registici a favore di una direzione non invadente, limitandosi a filmare l’ottimo lavoro degli attori in un connubio fra proiezione e palcoscenico.

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