Fritz Lang
100 registi (e tantissimi film) che migliorano una vita
Fritz Lang è muto. E austriaco. Sulla sua biografia convivono più versioni plausibili, cosa che rende qualsiasi personaggio di riconoscibilità pubblica decisamente più affascinante. Espressionista. Ovvero esponente di quella corrente artistica che, indipendentemente dalla disciplina specifica, ha messo in atto la forzatura del concetto, della parola o dell’immagine per giungere ad una demarcazione più potente di quella puramente ed esclusivamente naturale. Lang iniziò la carriera a Berlino, dove diresse per la prima volta nel 1919, trovò plauso internazionale due anni dopo con la favola romantico-funeraria di Destino.
Ma Lang è M, M – Il mostro di Dusseldorf (1931), diretto a quattro anni dall’esordio del sonoro nel cinema e, infatti, primo film non muto del regista. Ambiguità, angoscia, colpa, giustizia e terrore lo resero un capolavoro del cinema mondiale e consacrarono Lang alla maestria registica.
Eppure, anche con Lang, il sogno è quello americano: giunse negli Stati Uniti nel ’34, firmando con la MGM, il cui solo marchio nella storia della produzione mondiale inibisce per caratura e denota l’altrettanta, evidente, riconosciuta all’austriaco Fritz. L’America per Fritz Lang fu un riuscito esercizio di cinema sociale, western, anti nazista e noir, finché non sentì il bisogno di tornare in Europa, in Germania, dove concluse la carriera con tre pellicole, intorno agli anni Sessanta.
Il cinema di Lang è stato un cinema di sogni neri, di profili tormentati e antitesi. Spesso ribadì personalmente l’importanza degli occhi, dell’osservazione, ed evidentemente i suoi occhi proiettavano sullo schermo l’elaborazione di ciò che aveva visto. Una sua dichiarazione: «in tutti i secoli è esistita una lingua in cui le persone colte riuscivano a comunicare. Il cinema è l’esperanto di tutti e un grande strumento di civiltà. Per capire il suo linguaggio non c’è bisogno di nient’altro che di avere gli occhi aperti».