Long Day’s Journey into Night
L’impenetrabile viaggio cinematografico di Bi Gan alla ricerca del pomelo selvatico.
Proiettato a Cannes 2018 nella sezione Un Certain Regard, mai arrivato nelle sale italiane, Long Day’s Journey into Night è il secondo lungometraggio del regista cinese Bi Gan, che nel 2015 – sempre sulla Croisette – si era fatto notare col suo Kaili Blues portandosi a casa il Premio FIPRESCI. Il titolo internazionale ricalca Eugene O’Neill (senza che vi sia una reale correlazione), quello originale (Diqiu zuihou de yewan) fa riferimento a un racconto di Roberto Bolaño, Ultimi crepuscoli sulla Terra, dalla cui poetica infrarealista Bi Gan prende spunto.
Long Day’s Journey into Night si configura, all’inizio, come il più classico dei noir: un uomo alla ricerca di una donna di cui nessuno sembra sapere più nulla. Il ricordo di un amore diventa così una romanticissima indagine hard boiled nel solco di Frizt Lang e Raymond Chandler. Il suo impianto tecnico ricco di virtuosismi e complessità tecniche traghetta bel presto lo spettatore verso lidi inaspettati, altri, in un viaggio cinematografico sulle orme di Lynch e Apichatpong. La prima parte sembra un lungo e accorato omaggio all’estetica di Wong Kar-wai (o forse una sfida? Un affronto?!), è lo stesso regista a spiegare come questo segmento della storia, fatto di dettagli, scene languide e immagini esteticamente abbaglianti e dai contorni fumosi, rappresenti il tempo del ricordo, della memoria. Un tempo non lineare, frammentario, a volte distorto: in quest’ottica la rincorsa verso lo stile e i modi di rappresentazione del cineasta di In the mood for love e Happy Together si dimostra di un’aderenza un’affascinante.
Nella seconda parte la regia (e la storia) cambia rotta, inizia un piano sequenza vertiginoso di 59 minuti. Un viaggio di un’ora senza stacchi di camera in cui assistiamo al viaggio del protagonista in tempo reale. L’aspetto curioso di questa struttura è che gli aspetti del reale si dispongono all’interno di essa a chiasmo: nella prima parte, quella del ricordo (quindi nel regno della mente) assistiamo solo a eventi verosimili (seppur con dialoghi sibillini, personaggi che scompaiono tra le nebbie, e altre deliziose furberie da noir classico), mentre nella seconda parte, quella in cui quello che vediamo rappresentato è il tempo reale, fiorisce l’aspetto magico della narrazione, con avvenimenti fantastici e onirici. Non di meno il cinema di Gan Bi si struttura come un testo dalla forte connotazione geoculturale, in maniera simile a quanto accade nel cinema di Jia Zhangke l’aderenza a un preciso territorio (in entrambi i casi quello di nascita, per Zhangke lo Shānxī, per Gan Bi Kaili nella provincia di Guizhou) e la narrazione dei suoi cambiamenti diventano temi di primo piano. Long Day’s Journey into Night è un film ricco, lussureggiante, trasognato e impenetrabile: in Cina ha conquistato il botteghino in seguito a una campagna marketing truffaldina che l’ha presentato come una commedia romantica, lasciando a bocca aperta il pubblico (ma non in senso positivo).
Il lavoro di Bi Gan sintetizza gli esiti dei “magismi” portati in scena dai più grandi cineasti del panorama contemporaneo (orientali e non), con intuizioni felici e grande impegno, ma – al termine del viaggio – senza spingersi molto più in là, resta ugualmente un oggetto prezioso, da studiare e in cui perdersi.