Una spremuta di crudeltà partecipata
Questo lavoro sull'arancia di Marco Chenevier a Carrozzerie n.o.t
Chi è il pubblico teatrale? Domanda tanto vasta quanto inafferrabile, nonché al centro delle riflessioni sui processi di cosiddetto audience engagement.
«Pubblico» è una di quelle parole che per forza di cose racchiude un concetto assai generico poiché rappresenta per definizione la comunità più sfuggente e variabile che si possa pensare. Per semplificare un po’ la questione, ma certo non risolverla, potremmo dire che esistono diversi tipi di pubblico che tendenzialmente frequentano un certo tipo di teatro. Per quanto riguarda il «teatro di ricerca», il suo pubblico è considerato per lo più colto, progressista, radical chic, attento al sociale. Ne siamo sicuri?
Anche questa sembra una semplificazione abbastanza vaga, perché basta scalfire un attimo la superficie e dare a quel pubblico un minimo di potere decisionale per lasciar affiorare inquietanti risvolti della natura umana, che sembra tendere naturalmente al male. Lo aveva già capito Marina Abramović negli anni Settanta, quando in una delle sue performance più celebri, Rhythm 0 (1974), aveva messo il suo corpo a disposizione del pubblico per sei ore, il quale poteva interagire con lei attraverso 72 oggetti (di piacere, di dolore e di morte) presenti nella stanza. Alla fine, la performer serba si ritrovò, fra le altre cose, ferita, molestata e con una pistola carica alla tempia (qualcuno, a onor del vero, tentò di proteggerla).
Questo lavoro sull’arancia, l’ultimo spettacolo di Marco Chenevier che segna l’inizio del sodalizio artistico con Roberto Castello di Aldes, qui nel ruolo di mentore, ricorda una simile impostazione concettuale: da un lato il corpo dei danzatori in scena, Chenevier e Alessia Pinto, diventa un campo di battaglia esposto a una possibile violenza; dall’altro il pubblico avrà il potere di esercitare quest’ultima o meno.
Qui però, è la ricompensa in denaro il motore della partecipazione, un beffardo escamotage per far “abboccare il pesce all’amo” e disvelare in questo modo la vera natura del suo comportamento. Così, la danza non è semplicemente un’esperienza di fruizione passiva (come non lo è negli altri spettacoli del danzatore valdostano, cfr. articoli in calce) ma un dispositivo di riflessione in divenire focalizzato più sul processo che sul risultato, che sarà influenzato, modellato e creato insieme al pubblico. E visto che ogni essere umano e ogni pubblico è diverso sera dopo sera, il dato più avvincente è che ciò che si vedrà, o non si vedrà, o si interromperà, dipenderà esclusivamente dal campione di umanità che quella sera si ritroverà a teatro. Nel nostro caso, un gruppo di spettatori particolarmente e ludicamente reattivo non ha esitato a partecipare con entusiasmo ad ogni gioco proposto dai danzatori. Ma quali sono allora questi «giochi»?
Prima di entrare in sala, a Carrozzerie n.o.t ci viene fornito un welcome pack con pochi oggetti (fra cui un’arancia, un foglio, una pallina di carta, una Galatina), che il pubblico potrà usare o non usare diversamente. In una scena di un bianco abbacinante – che negli elementi proposti e nella colonna sonora fa riferimento a un cult della crudeltà, Arancia Meccanica di Kubrick – aspettano i due danzatori, il tecnico (Andrea Sangiorgi), in veste anche di garante delle regole, e un’asettica voce fuori campo che darà la spiegazione dei giochi. Sono giochi che richiederanno in piccola scala una presa di posizione «etica» cui è impossibile sfuggire: agire o non agire avrà ugualmente una conseguenza. Proprio come succede negli spettacoli di Antonio Rezza: una volta accettate le sue regole, si è «in trappola» senza scuse.
Ecco che il pubblico, come volontario chiamato in scena o dal posto, si ritroverà a risolvere i piccoli dilemmi insiti nelle azioni sceniche proposte, ovvero: decidere di guadagnare 5 euro interrompendo un momento coreografico; guardare uno schiaffo in diretta al danzatore o alla danzatrice o fermarlo con un aeroplanino; lasciar bere un bicchiere di latte al danzatore intollerante al lattosio per 5 euro o interrompere l’azione e non vincere niente; rimanere in intimo nella piscina gonfiabile con tanto di secchiate di latte per guadagnare 5, 20 o 50 euro (qualcuno forse ricorderà Il paradosso dell’attore 2000 del Nano Egidio).
Il pubblico è sempre più divertito e coinvolto: lancia palline di carta, cerca di sventare vincite altrui, ride, si congratula o rimprovera i compagni, e man mano che cresce la partecipazione, sotto l’apparente aspetto ludico e interattivo aumenta anche il livello di rischio per i danzatori – la cui autoironia impercettibile e sorniona, nella danza come nell’impostazione generale, contribuisce all’efficace ed esilarante riuscita della performance – fino ad arrivare al climax finale in cui Alessia Pinto, legata e bendata dentro la piscinetta gonfiabile, dovrà sopportare arance spremute negli occhi da parte di chi si contende il premio della lotteria finale e le secchiate di latte ghiacciato da parte di Chenevier.
Qui, succede di tutto. C’è chi tira arance su Chenevier per fermare la scena (ma devono essere 16), o chi tira aeroplanini di carta per lo stesso motivo (ma devono essere 64), chi è indignato, chi sprona, chi rimane a guardare; si andrà a ricreare così una vera e propria società in miniatura con le sue vittime, carnefici, complici, sadici, indifferenti, come se fossimo delle cavie da laboratorio (non a caso il pensiero va subito al trattamento «Ludovico Van» di Arancia Meccanica) le cui reazioni saranno studiate per esperimenti a venire.
Sono tante le riflessioni e le domande fondamentali che Chenevier punta dritte al pubblico: prima di tutto, quanto siamo disposti a prevaricare sull’altro per il nostro tornaconto personale? Quanto siamo in grado di sopportare la violenza o di stare passivamente a guardarla? E ancora, che ruolo ha l’arte nella società capitalistica che ci vuole tutti sempre più consumatori e meno esseri pensanti?
Si ha l’impressione che la provocazione sarebbe potuta andare più a fondo: forse la componente ludica tende a mitigare l’affilata riflessione che la sottende e la percezione di «rischio» da parte degli spettatori; eppure l’esperimento di Chenevier lancia una provocazione di grande acume che non si limita al mondo delle arti performative ma si allarga alla società tutta, qui rappresentata dalla piccola fetta di cittadini che ogni sera decide di andare a teatro. Il danzatore non fa che costruire le regole e fare il suo mestiere di artista, lasciando al pubblico la parte più scomoda: quella di giudicarsi.
Ascolto consigliato
Carrozzerie n.o.t., Roma – 13 aprile 2018
QUESTO LAVORO SULL’ARANCIA
di Marco Chenevier
interpreti Marco Chenevier e Alessia Pinto
scene e disegno luci Andrea Sangiorgi
mentoring Roberta Nicolai, Roberto Castello
produzione ALDES e TiDA (2017, con il sostegno di Mibact e Regione Autonoma Valle d’Aosta)
con il sostegno di MIBACT Sezione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA/Sistema Regionale dello Spettacolo
sostegno in residenza TWAIN residenza di spettacolo dal vivo della Regione Lazio
residenze ALDES/SPAM! (2017)
Creazione selezionata nell’ambito del progetto Permutazioni di Zerogrammi e Lavanderia a Vapore 3.0 / Piemonte dal Vivo (2017)