Corpi vulnerabili, corpi scenici
Lo Stato Interiore di Short Theatre si manifesta all'esterno
Se l’anno scorso avevamo lasciato Short Theatre intento ad animare un villaggio temporaneo, quest’anno, con un movimento uguale e contrario, il festival diretto da Fabrizio Arcuri e Francesca Corona, giunto alla XII edizione, si interroga su sé stesso per indagare il proprio Stato Interiore.
Il nuovo sottotitolo però non deve far pensare a un ripiegamento solipsistico e autoreferenziale che taglia fuori la politica o la riflessione sulla contemporaneità—tutt’altro, perché questa mappatura del sé non solo rappresenta il punto di partenza per ogni creazione artistica ma è altresì la premessa essenziale per poter agire nello spazio pubblico. L’anello di congiunzione fra individualità e comunità, «terreno di scambio» fra il dentro e il fuori – come lo chiama Arcuri – allora non può che essere il corpo nella sua pratica performativa. Ed è proprio il discorso sul corpo che sembra essere preminente in alcuni spettacoli, corpo che assume sempre diverse accezioni: strumento di rivolta, di riflessione filosofica, di esplorazione del genere o rifiuto di qualsiasi definizione prestabilita. Corpo «vulnerabile», direbbe la filosofa Judith Butler, concetto che si riferisce al corpo in relazione allo spazio pubblico ma che potremmo prendere in prestito anche per le arti performative, perché cosa c’è di più vulnerabile di un corpo esposto in scena?
Sicuramente vulnerabile è il corpo di Alessandro Sciarroni, sottoposto a un intenso sforzo fisico e a una notevole capacità di controllo per non perdere l’equilibrio. L’artista marchigiano con Chroma – Don’t be frightened of turning the page, infatti, porta avanti la sua riflessione sul concetto di ripetizione con tutte le sue implicazioni concettuali e performative, indagando il grado più essenziale del movimento che in principio è ciclicità. Per poco meno di un’ora, e a velocità crescente, il performer dà vita a un moto rotatorio sul proprio asse in una sorta di rituale ipnotico in cui ogni minima variazione si perde in un vortice di movimenti che con forza centripeta si muove sempre al centro del palco, per poi infine allargarsi verso il pubblico. Sciarroni indaga attraverso il corpo il valore archetipico della ripetizione come base fondante del cambiamento – nel movimento e nella vita – creando così un lavoro del tutto personale ma che grazie all’universalità del tema e senza la mediazione di particolari manipolazioni, lascia al pubblico la libertà di vari livelli d’interpretazione.
Concettuale e complesso è anche BAU#2 di Barbara Berti (vincitrice del Premio Scenario 2017 ex equo con Livia Ferracchiati), un connubio originale fra corpo e pensiero che si muovono di pari passo rispondendo l’uno agli impulsi dell’altro in modo da esplorare delicate corrispondenze fra mondo interiore ed esteriore della danzatrice, non tralasciando un’importante componente di improvvisazione. È proprio il rapporto fra performer e pubblico nella condivisione comune di uno spazio ciò che interessa di più a Berti, che capta le percezioni provenienti dalla sala e le traduce fisicamente, assecondando con il corpo dei moti inconsci inesprimibili che la danzatrice riesce a rende visibili. Forse è per questo che, se il movimento risulta magnetico e incisivo, la parola appare più sfuggente e difficile da seguire per la sua componente estremamente astratta.
Con Mallika Taneja e i Motus il corpo diventa strumento di ribellione che, in modo del tutto diverso, tocca le tematiche del genere. L’ apparizione in scena di Mallika Taneja in Be careful è una presa di posizione che ha già qualcosa della rivolta, considerando lo status sociale della donna in India: la performer si presenta nuda e per i primi, densi, minuti non fa altro che osservare il pubblico con sguardo di sfida. In seguito, la voce di Taneja, tra denuncia e ironia, elencherà tutte quelle situazioni che le donne devono evitare per non incorrere nella violenza, smascherando quella mentalità maschilista che vede la donna come il problema e non la società che per secoli ha esercitato il potere sulla sua vita e, prima di tutto, sul suo corpo. Parallelamente alle parole, Taneja indosserà i vestiti colorati appesi intorno a lei fino a infagottarsi in modo esasperato, simboleggiando su di sé la condizione oppressiva che la donna ancora oggi è costretta a subire, in India e non solo.
Per le Raffiche dei Motus, la questione del genere si risolve, invece, nel rifiuto di identificarsi in esso. Nato dall’impossibilità, per motivi di copyright, di ripresentare una versione al femminile di Splendid’s, per Magdalena Barile e Luca Scarlini il testo postumo e mai rappresentato di Genet diventa l’occasione per una riscrittura che da un lato mantiene alla lontana intenti e temi genettiani, e dall’altro è un’esplorazione innovativa della performatività del genere, concetto introdotto da Judith Butler che sta a indicare la non necessaria corrispondenza fra sesso biologico e identità percepita. Così le Raffiche (Silvia Calderoni, Ilenia Caleo, Sylvia De Fanti, Federica Fracassi, Ondina Quadri, Alexia Sarantopoulou, Emanuela Villagrossi, I-Chen Zuffellato), in tacchi e mitra, diventano una banda di attiviste con personalità e vissuti distinti che ben si riflettono nelle interpretazioni delle attrici, si chiamano con nomi maschili, intessono e rompono relazioni, si rifiutano di aderire alle regole di una società capitalistica che attraverso le lobby farmaceutiche esercita il controllo sui loro corpi, quel regime “farmacopornografico” già descritto da P.B. Preciado in Testo Tossico. Assediate dalla polizia in un hotel di lusso, protagoniste di una performance circolare presentata in loop che si avvale soprattutto della compenetrazione fra danza e musica, le Raf-fiche scrivono una nuova grammatica del corpo rivendicando così il diritto di essere fuori dalla norma.
In Nachlass dei Rimini Protokoll, straziante è invece l’assenza dei corpi che si fa metafora commovente dell’esperienza più elementare e incomprensibile di ogni vita: la morte. L’assenza rivive però negli oggetti, foto, voci registrate, nei racconti particolari e universali appartenenti a tutte le vite, racchiuse in otto stanze ospitanti ciascuna la storia di otto persone che stanno per morire, a cui il collettivo berlinese ha chiesto di immaginare il proprio trapasso. Quasi come fosse un ideale nastro di Krapp consegnato al futuro che permette una compresenza impossibile fra la vita e la morte, quella dei Rimini Protokoll è una vera e propria indagine, quasi documentaria, sul fine vita – trasfigurato attraverso un sofisticato e complesso processo artistico – ma soprattutto sul lascito personale e collettivo di ciascuno, quelle piccole e grandi tracce, negli affetti e nella società, che lasceremo ai posteri e che sole possono dare un senso all’esistenza.
I Rimini Protokoll inchiodano così lo spettatore davanti a sé stesso, sollevando questioni talmente radicate e rimosse della natura umana da richiedere un coinvolgimento attivo a tutto tondo da parte dello spettatore – emotivo, intellettuale ma soprattutto empatico – poiché è impossibile non vedere sé stessi in quei corpi invisibili.
Infine in Discorso grigio il corpo è il punto d’intersezione fra l’interiorità del performer (Marco Cavalcoli) e il mondo della politica, fra il singolo e la comunità. Grigio, perché non importa ascoltare la voce di La Russa, Trump, Renzi o Berlusconi: ogni parola rappresenta la mediocrità indistinta di un discorso del tutto privo di senso. Fanny & Alexander costruiscono infatti un articolato collage drammaturgico che estrapola e ricompone stralci di discorsi di volti noti della politica – facilmente riconducibili a un immaginario collettivo – mettendone così in risalto la sua natura spettacolare, e quindi, artificiosa.
Il presidente prepara il suo discorso alla nazione come un atleta o un attore prima di entrare in scena: il suo corpo è un potente detonatore di nevrosi, tic, balbettii, sorrisi tirati e gesti esasperati che vanno a comporre una partitura fisica convulsa e grottesca in cui il Presidente, un impeccabile Marco Cavalcoli, rappresenta il fantoccio di sé stesso.
Il corpo a Short Theatre allarga i suoi confini per porre nuove questioni, esplorare diverse modalità di azione performativa e riflettere, a livello individuale e pubblico, sullo stato delle cose; un corpo che però non può prescindere dalla sua relazione con l’esterno. Come scrive Judith Butler in Vite precarie:
Possiamo combattere per i diritti dei nostri corpi, ma gli stessi corpi per i quali combattiamo non sono quasi mai solo nostri. Il corpo ha una sua imprescindibile dimensione pubblica.
Ascolto consigliato
La Pelanda | Teatro India, Roma – 7-17 settembre 2017
Chroma, don’t be frightened of turning the page
ideazione e performance | Alessandro Sciarroni drammaturgia | Alessandro Sciarroni, Su-Feh Lee disegno luci | Rocco Giansante sviluppo, promozione, consulenza generale | Lisa Gilardino amministrazione | Chiara Fava cura tecnica | Valeria Foti, Cosimo Maggini ricerche | Damien Modolo produzione | corpoceleste_C.C.00# e Marche Teatro Teatro co-produzione | Le CENTQUATRE(Paris), CCN2 – Centre chorégraphique national de Grenoble, Les Halles de Schaerbeek
BAU#2 – Coreografia del pensare
dalla serie BAU – Coreografia del pensare concetto, coreografia, danza, testo | Barbara Berti drammaturgia Carlotta Scioldo assistente luci | Liselotte Singer
Be Careful
ideazione e performance | Mallika Taneja direttore di produzione | Pranav Sawhney Thoda Dhyaan Se ( Be Careful) è stato creato per la prima volta al “Tadpole Repertory Theatre come parte del loro spettacolo “NDLS”
Über Raffiche
dedicato a Splendid’s di Jean Genet regia | Enrico Casagrande e Daniela Nicolò con | Silvia Calderoni (Jean), Ilenia Caleo (Rafale), Sylvia De Fanti (Bravo), Federica Fracassi (il Poliziotto), Ondina Quadri (Pierrot), Alexia Sarantopoulou (Riton), Emanuela Villagrossi (Scott), I-Chen Zuffellato (Bob) la voce della radio | Luca Scarlini e Daniela Nicolò testi | Magdalena Barile e Luca Scarlini fonica | Paolo Panella progettazione scenica | Andrea Nicolini scenotecnica | Damiano Bagli produzione | Motus con Santarcangelo Festival con il sostegno di MiBACT, Regione Emilia Romagna grazie a Ert, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Biennale Teatro 2016, L’arboreto – Teatro Dimora Mondaino, Teatro Petrella Longiano, Comune di Bologna Foto ©DIANE_ilariascarpa_lucatelleschi
Nachlass
ideazione | Rimini Protokoll (Stefan Kaegi / Dominic Huber) video | Bruno Deville drammaturgia | Katja Hagedorn suono | Frédéric Morier assistenti alla creazione | Magali Tosato, Déborah Helle (stagista) assistenti alle scene | Clio Van Aerde, Marine Brosse (stagista) ideazione tecnica, Costruzione | Théâtre de Vidy, Losanna produzione | Théâtre de Vidy, Losanna coproduzione | Rimini Apparat, Schauspielhaus Zürich, Bonlieu Scène nationale Annecy e la Bâtie-Festival de Genève all’interno del programma INTERREG France-Suisse 2014-2020 Maillon, Théâtre de Strasbourg-scène européenne, Stadsschouwburg Amsterdam, Staatsschauspiel Dresden, Carolina Performing Arts con il sostegno di Fondation Casino Barrière, Montreux. Le Maire de Berlin – Chancellerie du Sénat – Affaires culturelles sostegno per la distribuzione | Pro Helvetia Fondazione svizzera per la cultura in corealizzazione con Romaeuropa Festival
Discorso Grigio
ideazione | Luigi De Angelis e Chiara Lagani drammaturgia | Chiara Lagani progetto sonoro | The Mad Stork regia | Luigi De Angelis con | Marco Cavalcoli annunciatrice | Chiara Lagani registrazioni | Marco Parollo abito di scena | Tagiuri Abbigliamento oggetti di scena | Simonetta Venturini maschera | Nicola Fagnani organizazzione e comunicazione | Ilenia Carrone amministrazione | Stefano Toma produzione | E / Fanny & Alexander