Ani DiFranco accende Villa Ada
Dopo quattro anni di assenza, la folk singer di New York torna in Italia
Roma, 4 luglio 2017. «Tutte le volte che facevo un’intervista ogni domanda era: “qual è il tuo problema?”. E poi venni in Italia e la prima intervista fu: “uau, sei così forte, dici tutto quello che devi dire, lo dici e basta!” E io: “Ok bene, molto bene. Sono a casa”». Con venticinque album all’attivo in oltre vent’anni di carriera, la “little folk singer” di Buffalo torna in Italia dopo quasi quattro anni di assenza, un nuovo disco e un leggero restyling della formazione che la accompagna. Con lei, sul palco della splendida location accanto al laghetto di Villa Ada, Todd Sickafoose, suo contrabbassista ormai fisso; Terence Higgins, batterista afro di New Orleans dove la musicista si è trasferita da qualche anno; il chitarrista Luke Enyeart e la cantante afro Chastity Brown.
Capelli più corti del solito, un grande sorriso stampato in faccia e gli occhi che s’illuminano quando parla al folto pubblico romano (l’altra, delle due uniche date italiane, il 5 luglio a Milano) di affezionati e amatori che s’infiamma all’attacco con Two Little Girls e poi ancora As Is, Not a Pretty Girl, Gravel. Pezzi storici, per così dire, che DiFranco come sempre alterna ai brani di Binary, ultimo lavoro presentato da poco.
Un piacere, come sempre, ascoltare e guardare questa potenza della natura mentre modula la sua voce energica sul suo finger picking ritmico e percussivo inconfondibile, unico, inimitabile. Ed è un piacere risentire brani vecchi come Overlap o addirittura Grey, riarrangiati in chiave sicuramente più pop jazz che è il timbro del nuovo disco. Deferred Gratification, una sorta di nuovo inno nazionale in chiave pop folk che invita alla Resistenza collettiva con la “R” maiuscola al disastro post Trump; Zizzing, una splendida discesa nei suoni e nelle atmosfere fumose di whisky e mosquitos di New Orleans; e ancora Play God e Binary che sono alla base del concept dell’album.
Su questo – come sempre – è lei stessa a prendersi più di qualche minuto durante il live per interagire col pubblico e ricalcare il senso tutto politico del suo percorso artistico, della necessità per lei imprescindibile di scrivere e suonare musica che racconti il presente, e attorno cui ci si senta e si diventi una comunità. Perenne punto di partenza del suo discorso musicale e artistico – cominciato all’inizio degli anni ’90 con una chitarra acustica dalla grande cassa armonica, capelli rasati e una montagna di cassette autoprodotte gettate nel retro di una Volkswagen itinerante per tutti gli Stati Uniti – ancora una volta il corpo delle donne e il sacrosanto “right to choose” sulla libertà riproduttiva.
«There’s a global struggle about reproductive freedom. We can walk together, men and women, arm to arm, against patriarchy», dice la DiFranco per introdurre Play God che è l’ennesimo inno alla “divinità” femminile, al suo potere mistico e dalla scelta non delegabile a nessuno di creare vita: «you don’t get to play God, man/ I do». Groove potentissimo, tirato. Un’energia che esplode, verso il finale, con tutto il pubblico sul ritmo incalzante di Which Side Are You On, ballata folk di Woody Guthrie che Ani DiFranco ha ripreso e fatto sua: una chiamata collettiva a prendere posizione e sempre e comunque decidere “da che parte stare”.
Sarà che la little folk singer in Italia si sente come a casa, fatto sta che ogni sua venuta resta impressa e vivida, ogni volta è una chiamata a raccolta, un ridare senso anche all’ascolto della musica che mai come in questo caso rilascia una “deferred gratification”, anche a distanza di giorni.
Ne è passato di tempo da quando una ragazzina punk della provincia di New York percuoteva incazzata e meravigliosa la cassa della sua chitarra acustica e chiedeva alle ragazze del pubblico d’intrattenerla nel post show. Ora Ani DiFranco ha due figli, una casa discografica che produce moltissimi artisti emergenti e uno studio di registrazione a New Orleans. Eppure la botta di adrenalina è la stessa, pura e incontaminata, tanto che l’ultimo bis – non previsto in scaletta – è Shameless. Per fortuna, esistono (ancora) artiste così.
Villa Ada Roma Incontra il Mondo – 4 luglio 2017