Quisilio Miraglia, il punto d’incontro tra poesia e critica sociale
Esistono numerosi e vari modi di esprimere un disagio, specialmente quando si parla d’arte: c’è chi straccia una tela con un coltello, chi la dipinge con violenza, affidandosi interamente a materici e nervosi schizzi di colore, chi urla la propria rabbia in musica, e chi decide di farlo giocando con le parole.
Nella schiera di questi “poeti sovversivi” troviamo sicuramente Quisilio Miraglia casertano classe 1993: diplomato al Liceo Scientifico di Mondragone, laureando in Letteratura, Musica e Spettacolo presso la Sapienza di Roma, membro del collettivo artistico Menti Colorate, nonché direttore “della censura” in Rapsodia – rivista letteraria indipendente, fondata con l’amico Claudio Landi nel 2014.
Il buon Quisilio è maestro nella nobile arte della poesia e dei giochi del linguaggio, capace di giocare sui rapporti tra ritmo e senso implicito del testo; d’altro canto, da uno che si dichiara “contro ogni forma di misticismo/romanticismo/estetismo/aulicismo poetico” e che “preferisce la forma al contenuto, pensando il contenuto come forma e la forma come contenuto”, non potevamo aspettarci diversamente.
Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, a colpire particolarmente sono alcuni Giuochi di lingua e altri crimini, componimenti che si avvicinano alla tradizione popolare dello scioglilingua, della filastrocca soltanto apparentemente infantile, carica di allitterazioni che, dietro al godimento acustico della lettura ad alta voce, nascondono riflessioni ben più amare.
Come nel caso di Metropolithanatos III:
Nelle zone d’ombra della cloaca mentale
la cimice del cemento scava a ritmo letale
tra le membra sfatte del sistema decimale
movimento consumato in un rito materiale
godimento stitico, libido fiscale
sacramento offerto all’omelia industriale
nel processo virale dell’asservimento
disperdo il seme spento dell’io animale
riferisco in digitale l’auto-annullamento
le sensazioni crude, al di là del condimento
[assioma laterale
del nostro fallimento]
ripulisco i nervi nascosti in superficie
i bisogni meccanici numerati a matrice
[memoria larvale
di una scomoda radice];
negli emicicli vuoti della gloria morale
la pietra gorgheggia il decreto finale:
– castrare il dio che non possa generare
demolire i simulacri per poter ricordare
violentare lo sguardo per riuscire a vedere
dopotutto: meglio tradire che imbalsamare
Una critica ben oculata potrebbe, in questo caso, annientare la potenza dei versi, per cui occorre muoversi con cautela: il messaggio, pur abbellito e impreziosito da gorgheggi stilistici, sintattici e morfologici, arriva forte e chiaro, la critica sociale al mondo contemporaneo è come uno schiaffo in faccia al lettore che, probabilmente, legge con un occhio allo smartphone e la mente altrove – d’altronde è forse questa la droga più potente del XXI secolo.
Guai a pensare troppo, guai a guardare al passato cercando di trarne insegnamento e monito per il futuro, guai ad ammettere il fallimento di una società così evoluta e, allo stesso tempo, così “deficiente”.
Non c’è spazio per il libero pensiero, non c’è spazio per il libero arbitrio, la “morte metropolitana” avvolge tutti nella sua nebbia, nella sua cortina impenetrabile, e noi possiamo scegliere di assuefarci o combattere, anche soltanto a colpi di versi e ironia pungente.