Amore cannibale
L'Educazione Sentimentale di Kronoteatro tra grottesco e naïf
Naïf. Lo usiamo per lo più come eufemismo, ché dire ingenuo, candido, sprovveduto, ci sembrerebbe male. Eppure questo francesismo ha un’accezione più nobile, si pensi alla cosiddetta arte naïf: è il neo-primitivismo di chi non ha una vera formazione, di chi con umiltà e tenacia ci prova, e magari anche se tecnicamente il risultato è modesto vi infonde qualcosa di prezioso che a un professionista sfuggirà sempre, abituato com’è dall’esperienza a evitare certe “cadute”.
Se nelle tele di Henri Rousseau (anche se è poi relativamente vero che “il Doganiere” fosse un “improvvisato” – ma comunque) la naïveté sprigiona un’atmosfera poetica, sospesa tra la magia e l’esotismo, nel caso della realtà ingauna Kronoteatro l’esito tende invece in direzione – consapevolmente – opposta, ovvero al grottesco.
Nata oltre dieci anni fa da giovanissimi non professionisti, la compagna Kronoteatro “cresce” attorno alla figura del formatore teatrale Maurizio Sguotti, ex Teatro Cargo, ideatore e direttore artistico dello splendido festival Terreni Creativi di Albenga. Uno scarto generazionale e professionale che diventerà cifra distintiva della compagnia.
Dal debutto nazionale nel 2009, Kronoteatro ha concluso la trilogia Familia e lo scorso anno ne ha inaugurato una nuova con Cannibali. Giunti alla nuova quinta produzione, però, le prime leve cominciano ad avvicinarsi alla fatidica età dei 35 anni e ora la compagnia prova nuovamente a mettersi in discussione: da un lato porta in scena due giovanissimi attori appena diciottenni, dall’altro – per la prima volta – introduce una presenza femminile. Non a caso lo spettacolo si chiamerà – il riferimento a Flaubert è solo nel titolo – Educazione sentimentale.
Prendete il palco e dividetelo in tre strisce parallele, sinistra centro destra, ciascuna identica all’altra, come villette a schiera: sul fondo, rialzato, un bagno (l’interno); davanti invece un quadrato verde di prato e una sdraio (l’esterno). (“Interno” e “esterno” dell’io, beninteso.) I tre inquilini nient’altro sono che un piccolo campione di umanità isolati nel loro giardinetto: il signore bonario ma sotto sotto laido e razzista; il trentenne schivo, sensibile ma incattivito; e il giovanotto imberbe, impacciato e timido.
I tre sono in villeggiatura, ma la dimensione di Kronoteatro è saturata, come i colori kitsch che contraddistinguono la scarna scenografia o il parterre musicale latinoamericano danzereccio. Qui il dato naturalistico è sostituito da quello iperbolico per cui la normalità viene sfoltita e condensata in stereotipia; insomma non ci troviamo nella realtà ma nel suo lato più sfrenato, quello che normalmente affiora solo quando le inibizioni non tengono più. Appunto, siamo nel grottesco.
A innescarlo sarà la presenza femminile, nei panni di una ragazza delle pulizie ispanica, che provoca e si sottrae con leggerezza infantile. Ma ancora una volta, qui la storia non è importante nel suo svolgimento: questa lolita non rappresenta altro che l’elemento del desiderio, ciò che interviene ad alterare la lotta di affermazione tra un io e l’altro proponendo un “tu”, attraente, di fronte al quale si è costretti a mettersi in discussione.
Tuttavia siamo in un mondo grottesco, e questa disponibilità non sarà che il preludio a un nuovo atto di dominazione e cannibalizzazione: più che un elemento femminile, la ragazza è una preda. L’umanità messa in campo da Kronoteatro ci dimostra che la società contemporanea ha rinunciato al – seppur discutibile – senso dell’onore (il più valoroso sfida e sbaraglia i pretendenti) optando per una più “pacifica” e desolante violenza di gruppo (tutti sono colpevoli ma nessuno è responsabile).
Alla fine non si salva nessuno.
Come le continue esplosioni dall’esterno che contrappuntano le varie scene: l’apocalisse è già qui, ci siamo dentro. Ma la neghiamo rinviandola a domani, e così, nel frattempo, ci concediamo le peggiori meschinità.
L’intreccio di naïf e grottesco proposto da Kronoteatro è decisamente singolare: se da un lato il nero cinismo con cui scandagliano la società è felicemente raggelante (e non è un caso che la loro stagione teatrale abbia due focus proprio su compagnie come Quotidiana.com e Babilonia); dall’altro non possiamo nascondere che la loro acerbità non sempre sa e può dominare la difficilissima arte del grottesco che invece richiede – proprio per la sua tendenza all’eccesso – una precisione chirurgica (si pensi a quel disturbante capolavoro che è Happiness di Solondz).
Certo, mantenere una natura ibrida è un esperimento sicuramente interessante, ma nel ricambio semi-generazionale che si propone in Educazione sentimentale non c’è ancora un testimone così deciso da passare. Forse la compagnia, ora che ha una consapevolezza e una maturità diverse, ha bisogno di un processo di contaminazione con l’esterno, di irrobustimento e centratura, per ritornare poi al proprio teatro proseguendo – arricchendola – l’azione inaugurata dal suo iniziatore.
Ascolto consigliato
Spazio Bruno, Albenga – 8 dicembre 2016
In apertura: Edward Kienholz & Nancy Reddin Kienholz The Pool Hall, 1993 ©Collection of the artist, Courtesy of L.A. Louver, Venice, CA
Crediti ufficiali:
EDUCAZIONE SENTIMENTALE
di Fiammetta Carena
regia Maurizio Sguotti
con Tommaso Bianco, Viola Lo Gioco, Lorenzo Romano e Maurizio Sguotti
scene e costumi Francesca Marsella
disegno luci Amerigo Anfossi
responsabile tecnico Alex Nesti
si ringrazia Nicoletta Bernardini