Ce ne andremo in fila indiana – Marco De Palma
Se si è propensi a non amare la vita, allora Ce ne andremo in fila indiana (Ortica Editrice, 2016) di Marco De Palma è un libro che vale la pena leggere.
A metà tra il romanzo e l’autobiografia, esso può essere definito come un lungo – e a tratti pesante – monologo sull’ingiustizia e la crudeltà della vita.
Il protagonista Andrea Argenti è insoddisfatto di tutto, dal suo percorso professionale a quello affettivo, quest’ultimo caratterizzato dal rapporto tormentato con una donna di nome O. (che stia per Ofelia come suggerisce la dedica all’inizio del romanzo?).
Incapace di gestire i piccoli drammi della vita quotidiana, dall’apatia personale alla frustrazione di fronte ad un’indisponente direttrice delle poste, Argenti se la prende col conformismo sociale della sua epoca, al quale oppone un atto di ribellione che, tuttavia, è ben lontano dall’essere una forma credibile di opposizione al sistema: egli infatti, dopo aver lasciato il lavoro, si trasferisce a vivere da solo (fatta eccezione per un cane e qualche gatto randagio) in una vecchia baracca di legno sotto casa della madre.
Se da un lato il libro racconta la vita del protagonista, dall’altro esso è inframmezzato dalle tragiche vicende del clochard Gaspard e della prostituta Eva, gli unici passaggi riusciti dell’opera dal punto di vista del contenuto narrativo e della costruzione dei personaggi.
Nello specifico, a differenza del protagonista, Gaspard ed Eva sono soggetti attivi che vivono pienamente anche i momenti drammatici della loro esistenza, al contrario di Argenti che è essenzialmente un personaggio passivo e consacrato al lamento, la cui caratterizzazione non soltanto non arricchisce la narrazione, ma si rivela inoltre poco interessante per quei lettori che non apprezzano l’autocommiserazione.
Più in generale, il romanzo risulta poco accattivante dal punto di vista specifico del momento storico attuale già di per sé negativo.
In questo contesto, personaggi come Argenti risultano infatti ridondanti, poiché connotati da una visione pessimistica del mondo fine a sé stessa.
Più interessante sarebbe invece vedere figure letterarie propositive e visionarie, in grado non solo di analizzare ciò che non va nella società, ma anche e soprattutto di trascendere la loro contingenza storica negativa per elaborare idee su come migliorare le cose.