L’amarezza del grembo perduto
Paiato e Scommegna toccanti 'Donne che ballano'
Il suicidio rimane uno dei problemi esistenziali e filosofici dell’umanità. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, ritenersi al di sopra di qualsiasi entità soprannaturale e persino del più incontrollabile dei fattori della nostra esistenza quale il destino, è un atto spregiudicato che sfida regole naturali e etiche, liberando l’uomo dalla schiavitù dell’incognita della morte. Questo è il carattere di Due donne che ballano, testo del drammaturgo Josep M. Benet i Jornet, uno dei massimi esponenti della letteratura catalana contemporanea. A portarlo in scena sono Maria Paiato e Arianna Scommegna dirette da Veronica Cruciani.
La Solitudine è la vera protagonista dello spettacolo (incorniciata come un quadro di Hopper dalle luci di Gianni Staropoli), lei farà incontrare una giovane insegnante delle elementari e un’anziana vedova. Badante una, insegnante a tempi alterni; vecchia capricciosa l’altra, con la mania di collezionare fumetti per bambini, anzi giornaletti come lei li chiama. Tutto si svolge all’interno delle mura spoglie e squallide di un appartamento demodé, dimora logora e inagibile della signora, dove compare in bella mostra uno scaffale: è la collezione di fumetti altare sacro di un’infanzia perduta al quale la padrona dedica cure e attenzioni.
La donna arrivata a farle da badante soffre di nervi e porta dentro di sé un dolore inguaribile. Madri disilluse e abbandonate dalla vita, donne arrabbiate con gli uomini e soprattutto con sé stesse: litigano, bisticciano come due bambine, e alla fine diventano quasi amiche, regalandosi un ultimo inconfessabile segreto: il desiderio di voler morire. Maria Paiato tratteggia il carattere dell’anziana in maniera meticolosa, soffermandosi su una caratteristica che accumuna la senilità, quella strana voglia di regredire verso l’infanzia, di tornare a fare i capricci, in un disperato grido d’aiuto che reclama attenzioni. Fragile ma allo stesso tempo forte, irrobustita dai sogni infranti, si vanta di essere stata femminista e di aver partecipato alle manifestazioni con addosso la scritta Anche io ho abortito (cosa che in realtà non ha mai fatto). Ora è arrivata alla vecchiaia stanca, stropicciata dalla vita, proprio come il fazzoletto che nasconde nella manica della giacchetta. Vittima dell’egoismo dei figli, vive di manie e sogna di partire per Venezia.
L’altra donna, che Arianna Scommegna veste di un velo cupo da tragedia greca, nasconde un segreto, la sua confessione spezza il muro di bisticci e battibecchi e fa calare sullo spettacolo un’ombra tetra. A fare da spartiacque, il monologo di questa rivelazione che annulla ogni litigio e crea nelle due, ormai amiche, una confidenza legata da una caratteristica femminile: essere madre.
I figli però hanno abbandonato queste madri, condannate a una solitudine rotta solamente dal loro incontro. Il vuoto lasciato da questa perdita si raffigura sulla scena con l’improvvisa sparizione dei fumetti. Senza di loro la vita non può aver senso. Il dolore è mascherato, travolto da un umorismo sottile che regala allo spettatore un finale tragicomico. Le due donne improvvisamente si trasformano in una coppia di comici da vaudeville, finiscono la loro vita in risate e in un ballo che le porterà finalmente verso il raggiungimento del loro traguardo.
Due donne che ballano è un testo scorretto, anticonvenzionale nella sua semplicità, che si permette di affrontare drammi esistenziali ridendo e senza mai eccedere nel dolore. Due generazioni di donne messe a confronto: opposte ma unite dal dramma della solitudine e dell’abbandon
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Ascolto consigliato
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