People are just people
Come piegare lo stereotipo della diversità a Gender Bender
La sessualità è una cultura? No, tranquilli, non siamo sulle pagine della Padania, nessuna allusione qui a mirabolanti “ideologie gender”, complotti della lobby LGBT, deviazioni morali e oscurantismi vari. La questione è più semplice e letterale: si può considerare culturale un aspetto strettamente privato della vita di un individuo? E per amor di ragionamento vi invitiamo a non leggere in ciò più di quanto non vi sia scritto.
Quando si trattano certi temi, infatti, la suscettibilità va subito alle stelle. Comprensibilmente. Perché il campo di partenza – il contesto socio-culturale – è acquitrinoso, impantanato da pregiudizi, discriminazioni, vessazioni; e certo non se ne può non tenere conto. Diciamoci la verità: checché l’Italia ripeta di essere un Paese laico e democratico, di fatto qui più si tende all’eterosessualità di ascendenza cattolica-lateranense-democristiana e più si è (italiani) “normali”; più ci si discosta da questo modello più si sconta la propria “diversità”.
Ma questo appunto è il piano socio-culturale.
Poi c’è una questione che di pubblico non ha assolutamente nulla. Nel senso che di per sé l’orientamento sessuale non dovrebbe avere alcuna ricaduta al di fuori della sfera privata, perché non si tratta di un’ideologia, di una fede o di un pensiero politico, non è un atteggiamento etico, non sancisce un ruolo, non imprime un cambiamento “sulla” vita altrui; è qualcosa che condiziona la collettività come potrebbe condizionarla la maniera di ciascuno di allacciarsi le scarpe, o di decidere se scartare o meno il bordo della pizza, o di preferire il bagno a la doccia. Saranno un po’ anche affari suoi. E invece no, sulla sessualità c’è da prendere una posizione. Costruirsi su un’identità. Scontrarsi. Gli uni contro gli altri. Diversità sì, diversità no. Ed ecco che diventa una questione socio-culturale. Ma il punto è: un domani che questa ridicola e tragica discriminazione sarà superata, la questione gender sarà ancora culturalmente dirimente?
“People are just people, they shouldn’t make you nervous” cantava Regina Spektor.
La questione tuttavia ha una ricaduta positiva. Ce ne dà la dimostrazione il direttore artistico Daniele Del Pozzo con il festival bolognese Gender Bender: una rassegna multidisciplinare che non è semplicemente “il” festival LGBT italiano ma molto di più. Si limitasse a questo rischierebbe di scivolare nella autodiscriminazione vittimistica, e invece no, GB si dimostra ben più lungimirante, giacché di ideologico non ha assolutamente nulla. Qui la vocazione è alla valorizzazione della diversità, anzi, diamo alle cose il loro giusto nome: non della diversità ma della varietà. Perché in fondo il diverso può essere diverso solo se esiste un normale, ma—normale cos’è? normale chi lo è? Qualcuno lo sa?
Ecco, questo è – ci sembra – il vero significato di bender. È così che si “piega” il concetto di gender: quando lo si affronta globalmente. A Gender Bender non si afferma un’idea su un’altra, si apre lo sguardo, si mette in discussione per spingere all’attenzione. E basta sfogliare il programma di questa XIV edizione – che spazia dal cinema alla danza al teatro alla musica alle arti visive – per rendersi conto che l’offerta è proprio all’insegna non della diversità ma della varietà e della sua salvaguardia.
È ad esempio il corpo di Natasha Rodina stretto in un body di domopak e imbavagliato con nastro isolante, che – in Object degli israelo-olandesi Ivgi & Greben – tenta il balzo metaforico ma ricade ogni volta, pesante e sconfitto, a terra: un corpo che si offre allettante e poi si contrae esaurito, come una merce che esiste solamente per essere venduta—ma con la data di scadenza già impressa nel destino.
O sono le zeppe nere e i guantoni da box del corpo nudo in gorgera del belga Alexander Vantounhout, che nella performance Aneckxander diventano ora affermazione glam ora sostegno allo slancio ora protezione dall’esterno, ma sono una “protesi” che pur pesa, che pur crea un distacco, cementandolo forse; e allora cos’è che deve emergere alla fine? Un io? Un corpo? Uno spettacolo? Un prodotto culturale? Sarà proprio il connubio tra gravità drammatica e comica auto-ironia a offrire la chiave di s-volta in questo divertente pastiche a metà tra butoh e circo.
O, ancora, è il tip tap sulle macerie dell’Occidente di West end: coreografia firmata da Chiara Frigo scandita per brevi didascalie in stile cinema muto, che tra la parola e la danza, con ironico stile vaudeville, ci porta a prendere coscienza del processo di mercificazione, morte e possibile rinascita dell’individuo nel mondo neoliberista occidentale (drammaturgia di Riccardo De Torrebruna). La performer Amy Bell regala cinquantacinque minuti di puro spettacolo – unico neo: un gusto e una poetica forse troppo fine Novecento che non estendono la riflessione sulle evoluzioni-involuzioni post-capitalistiche degli ultimi dieci-vent’anni.
Infine, nella nostra rapida immersione di un giorno, non possiamo non menzionare il caso curioso di Delle miss e dei misteri di Antonia Baehr e Valérie Castan: «audiodescrizione per non vedenti di uno spettacolo immaginario» (progetto che ogni volta si avvale di professionisti scelti in loco), in cui effettivamente la messa in scena “sospesa”, rinviata all’ambiente sonoro live di Andrea Neuman e alla narrazione suadente di Chiara Gallerani, entrambe davanti a un palco per così dire semi-disertato (più simile a una teca da museo che a un allestimento scenico), facendo appello alla capacità di immaginazione dello spettatore – come è tipico dei libri, o della lettura in genere – “costringe” il pubblico a un’adesione immediata, scavalcando dunque qualunque questione di adesione rispetto alla materia trattata o alla sua rappresentazione. Lo spettatore per seguire, insomma, deve prestare un po’ della propria fantasia e così, senza saperlo, diventa parte stessa imprescindibile dello spettacolo, che non si vede eppure c’è.
Gender Bender dunque indaga innanzitutto la questione dell’identità all’interno della società, non solo nelle sue sfumature di “genere” ma a livello globale, e così facendo giunge alla matrice del paradosso di ogni discriminazione. Vale a dire: una normalità in fondo non esiste, né esisterà mai, però ne esiste, ancora più importante, la parvenza; e la parvenza di normalità è tutto. La cosiddetta normalità infatti non si basa su un comun denominatore, si basa piuttosto su un modello dominante, frutto di interessi privati, di influenze, di mercato, insomma di potere, cui è meglio aderire, cui è meglio normalizzarsi.
È così che la varietà viene ribattezzata “diversità”, perché almeno così può essere gestita e spiegata e risolta in coppie di opposti: bianchi-neri, italiani-stranieri, etero-omo, destra-sinistra, cristiani-miscredenti, cambiamento-palude, e via col disco. La varietà invece va oltre le ideologie, accoglie tutti, e non è controllabile quindi è pericolosa, perché quando coesistono tante varietà rischia di nascere la vera democrazia.
Ma chi la vuole la vera democrazia? A noi ce ne basta il nome. A noi basta starcene tranquilli e ordinati in un’identità ben precisa, che non si può e non si deve “piegare”.
Oppure no?
• La difficoltà di crescere: al teatro India va in scena l’incanto di Fa’afafine, di Sarah Curati
• MDLSX – Motus, di Sarah Curati
• L’esilarante tragedia della diversità: L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi di Adriatico, di Giulio Sonno
• OcchiSulMondo e il riflesso perduto della meraviglia: al Brecht ‘Alice Dragstore’, di Giulio Sonno
Bologna – 5 novembre 2016
Crediti ufficiali:
OBJECT
di Ivgi & Greben
Coreografia, costume, luci: Ivgi & Greben
Interprete: Alyona Lezhave
Foto: Jochem Jurgens
ANECKXANDER
di Alexander Vantournhout & Bauke Lievens
interprete: Alexander Vantournhout
Drammaturgia: Bauke Lievens
Consulenza drammaturgica: Dries Douibi, Gerald Kurdian
Outside eyes: Geert Belpaeme, Anneleen Keppens, Lore Missine, Lili M. Rampre, Methinee Wongtrakoon
Light design: Tim Oelbrandt, Rinus Samyn
Musica: Arvo Pärt
Costumi: Nefeli Myrtidi, Anne Vereecke
Foto: Bart Grietens
Bookings: Frans Brood Productions
In collaborazione con Bauke Lievens nell’ambito del progetto di ricerca Between being and imagining: towards a methodology for artistic research in contemporary circus, finanziato dal fondo di ricerca KASK School of Arts, Gent (BE)
con il supporto di Circus Next, a European scheme coordinated by Talents Cirque Europe, fondato con il supporto della Commissione Europea
Produzione: Not Standing npo
Coproduzione: Circus Next, Les Subsistances Lyon (FR), Festival PERPLX Kortrijk-Marke (BE), Festival novog cirkusa Zagreb (HR)
Residenze: Kunstencentrum Vooruit Gent (BE), Circuscentrum Gent (BE), CC De Warande Turnhout (BE), Festival PERPLX Kortrijk-Marke (BE), Centro Cultural Vila Flor Guimarães (PT), Les Migrateurs Strasbourg (FR), Subtopia Norsborg (SE), CC De Spil Roeselare (BE), La Brèche Cherbourg (FR), Les Subsistances Lyon (FR), STUK Leuven (BE)
Con il supporto di: Province of West Flanders, the Flemish Government, Circus Next
WEST END
Concept: Chiara Frigo
Interprete: Amy Bell
Drammaturgia: Riccardo de Torrebruna
Foto: Giorgio Termini
DELLE MISS E DEI MISTERI
Ideazione, coreografia e testo: Antonia Baehr e Valérie Castan
Lettrice e traduzione italiana: Chiara Gallerani
Performance, coreografia e costume: William Wheeler
Musica: Andrea Neumann
Direzione tecnica e design luci: Rima Ben Brahim
Suono: Ian Douglas-Moore
Correzione bozze: Reynalde Nicolin, Valérie Deronzier
Tirocinio: Lois Bartel, Guy Marsan
Grazie a: Chantal Akerman, Antoine Doinel, Sabine Macher, Delphine Seyrig, Christophe Wavelet
Amministrazione: Alexandra Wellensiek
Coproduzione: Kampnagel (Hamburg), Buda Kunstencentrum (Kortrijk), PACT Zollverein (Essen), Theater Freiburg (Freiburg), Festival Uzès Danse (Uzes), NATIONALES PERFORMANCE NETZ (NPN) Coproduction Fund and International Guest Performance Fund for Dance fondato dal Federal Government Commissioner for Culture and the Media su decisione del German Bundestag
Supportato da: Berliner Senatskanzlei für kulturelle Angelegenheiten, Ausland / Berlin all’interno del programma di residenza Artists in Residence program at fabrik Potsdam