Facciamo piazza pulita di sfumature, balbettii o titubanze di fronte al dato manifesto: X-Men Apocalypse, l'ultima parte in ordine cronologico della saga dei mutanti di casa Marvel è, a conti fatti, il migliore film sui supereroi, tradizionalmente intensi, del 2016.
Lasciando perdere gli echi cesariani della Guerra Civile tra Capitan America e Tony Stark (che dai toni epici auspicabili è invece trascolorata in un battibecco burocratico degno di una delle puntate più becere e trash di Forum), il film di Bryan Singer è il giusto compromesso tra l'ansia di volere innovare un mondo, come quello dei supereroi, ormai fertilissimo a livello creativo, l'impostazione classica di fedeltà alla linea della storia e la coabitazioni tra grandi, grandissimi attori. La formula, combinato disposto di queste tre direttrici, aveva funzionato alla perfezione in X-Men – L'inizio, ad oggi, assieme al primo film della saga di Iron-Man e a Captain America - Il primo vendicatore, la migliore trasposizione cinematografica di un fumetto, meno bene in X-Men Giorni di un futuro passato (dove l'ansia del grande racconto epico ha portato un po’ a confondere troppo le carte in tavola), viene ora riproposta in questo Apocalisse, con risultati lusinghieri.
Tutto si basa su, principalmente, due assiomi fondamentali, il primo molto evidente il secondo meno, ma decisivo per le sorti, anche dal punto di vista filosofico, degli X-Men. Si prende un dio o per meglio dire una divinità adorata sin dalla notte dei tempi dagli esseri umani, l'omonimo Apocalisse, un alieno senza scrupoli che durante l'Antico Egitto ha fatto erigere le colossali Piramidi per poter assorbire determinati poteri dagli abitanti autoctoni. Infatti la scena che apre il film è qualcosa di grandioso: una meravigliosa piramide dalla cuspide dorata e una lunga sequenza di una fastosa cerimonia religiosa egizia. Poi, come spesso avviene nelle vicende che accadono sulla Terra, gli uomini si ribellano al dio e, se proprio non lo possono uccidere, quantomeno lo dimenticano. Ma un dio, o comunque un alieno dotato di quel potere, è quasi biologicamente portato a rinascere, a ritornare. E qui, si inserisce un terzo fattore: il fattore-tempo. Quello che infatti aveva affascinato profondamente il pubblico di X-Men – L'inizio era il fatto che era stato ambientato negli anni Sessanta, quindi la storia dei supereroi mutanti si andava profondamente a intersecare con la Storia del Novecento.
In questo caso viene proposta una fedele ricostruzione dell'anno domini 1983. Jennifer Lawrence/Mystica, Michael Fassbender/Magneto e il sempre più bravo James McAvoy/Professor Xavier, coadiuvati da una serie di giovani e focosi assistenti/compagni, sono giust’appunto chiamati a fermare il potente dio del male. Ambientare un film del genere negli anni Ottanta è una specie di invito per il regista a disseminare l'intera pellicola di riferimenti a questa decade: dal giubbotto che ricorda quello di Micheal Jackson nel video di Thriller indossato da Nightcrawler, alle canzoni (con la tamarrissima Sweet Dreams (Are Made Of This) degli Eurythmics a fare da colonna sonora alle imprese di Quicksilver) sino al linguaggio e alle pettinature. La storia credibile e godibile grazie al giusto mix di riferimenti storici e battute di casa Marvel ha uno scarto nella figura di Jean Grey, interpretata da Sophie Turner (ma un discorso simile si potrebbe fare anche per Storm).
Oltre ai riferimenti mitologici e biblici di questo capitolo, ancora una volta nei nuovi X-Men è preponderante il cromosoma XX: ovvero il componente femminile. Come mai in nessun altro tipo di universo fumettistico, le donne sono così potenti e così fondamentali per lo sviluppo della storia (con buona pace della coreografica Wonder Woman di casa DC). Già nella precedente saga degli X-Men, quella per intenderci degli anni 2000 (talmente dimenticabile che pare sia già pronto un nuovo reboot), il personaggio di Fenice/Jean Grey era importante, ma ora lo è ancora di più. Senza svelare nulla della storia questa nuova era degli X-Men ci insegna una grande lezione: non è il supereroe più potente quello che trionfa ma quello che sa appoggiarsi, nel momento del bisogno, al compagno di squadra più giusto o, ancor di più, al più fedele compagno di ventura, al migliore amico. Se Batman ma anche in fondo Spiderman è il grande racconto dell'uomo/ragazzo solitario, gli X-Men, molto più che gli Avengers, sono il contraltare che incarna l'essere squadra. C'è a chi piace il Barcellona di Messi e Suarez ma c’è anche chi non può fare a meno dell'Atletico Madrid di Simeone. Parafrasando, X-Men Apocalypse è cholismo mutante al femminile su celluloide.