«Eppur si muove!» Con questa frase Galileo Galilei terminò la sua abiura dell'eliocentrismo di fronte al tribunale dell'Inquisizione. Conosciamo tutti gli antefatti e il significato di una frase divenuta celebre, anche se, molto probabilmente, non è mai stata pronunciata dallo scienziato toscano. No, non siamo qui per discutere se la frase sia stato o meno pronunciata, ma l'abbiamo utilizzata perché ben si presta al caso nostro, ossia a sollevare qualche dubbio sulla conclamata staticità del cinema italiano e ad alimentare le voci che circolano da qualche mese su una rifondazione o svecchiamento del sistema nostrano.
Se, infatti, il dinamismo del nostro ultimo cinema è stato affidato a sparuti episodi sparsi in un decennio (vedi i Manetti Bros) o all'abilità tecnica di alcuni registi (Paolo Sorrentino e Matteo Garrone in primis), ora il discorso cambia e s'inizia a ragionare sui contenuti e soprattutto sui generi con una frequenza che non può più essere lasciata al caso. Vediamo i casi più rilevanti. Nel 2014 Gabriele Salvatores si cimenta nel genere fumettistico con Il ragazzo invisibile, un film che, sia pur non convincendo fino in fondo, dimostra che l'innovazione non è più sinonimo di azzardo.
Segue Il racconto dei racconti (2015), fantasy d'autore di Matteo Garrone che rappresenta un notevole passo in avanti qualitativo rispetto alla pellicola di Salvatores. Ma è proprio in quest'anno che si segnalano le novità più importanti con due film diretti da due giovani registi: Lo chiamavano Jeeg Robot, con Gabriele Mainetti alle prese con il genere supereroistico in salsa romana, e questo Veloce come il vento di Matteo Rovere.
Il film, ispirato alla vera storia dell'ex campione di rally Carlo Capone, ci porta all'interno dei circuiti del campionato GT attraverso la storia di Giulia De Martino (Matilda De Angelis), giovane pilota determinata a mantenere la scuderia di famiglia anche a seguito della morte di suo padre. A rendere tutto più complicato c’è il ritorno di suo fratello Loris Il ballerino (Stefano Accorsi), ex campione automobilistico e ormai tossicodipendente. Tra i due s'instaurerà un rapporto di amore/odio, necessario, alla prima per diventare più competitiva in pista e al secondo per cercare di ritrovare un senso alla sua vita ormai dissipata dalle droghe.
Le scelte di casting tra il film in questione e Lo chiamavano Jeeg Robot appaiono speculari. Sia Mainetti che Rovere, infatti, assegnano il ruolo di protagonista femminile a due attrici esordienti (Ilenia Pastorelli e De Angelis), mentre affidano quello di protagonista maschile a due attori navigati (Claudio Santamaria e Accorsi) ma sradicati dai rispettivi canoni attoriali. Se da un lato, dunque, troviamo un Santamaria irrobustito e coatto; dall'altro ammiriamo un Accorsi trasandato e avvezzo all'uso di sostanze stupefacenti. La freschezza delle prime ben si completa con l'intraprendenza dei secondi che offrono una delle loro migliori prove attoriali e placano, almeno per il momento, le solite voci che accusano gli attori italiani di interpretare sempre lo stesso ruolo nel corso della propria carriera. Forse occorrerebbe spargere la voce e coinvolgere anche altri attori in operazioni di questo genere. Un esempio a caso? Margherita Buy.
Andiamo col freno a mano tirato però, perché Veloce come il vento non è certamente un film perfetto, anzi, a mio avviso è addirittura un gradino sotto a Lo chiamavano Jeeg Robot, e questo per un motivo fondamentale: se Mainetti, infatti, pur ispirandosi al sistema statunitense riesce a creare un prodotto made in Italy, Rovere si lascia ammaliare troppo dalle pellicole a stelle e strisce, rischiando di diventarne succube. L'allenamento stile Rocky Balboa della protagonista, le gare automobilistiche che richiamano Rush, i dettagli dei pistoni e del motore à la Fast and Furious sono espedienti che sfociano nel citazionismo sfrenato, e non è fattore di poco conto, dato e considerato che dovrebbero risollevare il film da una trama prevedibile, specie quando in ballo ci sono i sentimenti dei protagonisti.
Il talento e le idee dunque non mancano, ma ci vuole ancora un po' di tempo e coraggio da parte degli addetti ai lavori per poter parlare di una vera e propria rivoluzione all'interno del nostro cinema. La strada intrapresa, però, sembra quella giusta per far sì che il Nuovo Cinema Italiano, da espressione oggi appena sussurrata, diventi una realtà consolidata.