Vivere in un mondo materiale
La Luna nel Letto riporta in scena 'L'abito nuovo'
Nel 1932, seduto nella prima fila del vecchio Teatro Sannazzaro di Napoli, Luigi Pirandello assisté alla messinscena di Chi è più felice di me, evento che scombussolò non poco la performance attoriale di un giovane Eduardo De Filippo. Il Maestro volle poi incontrare l’attore in camerino e, dopo una cena, i due pilastri del teatro italiano decisero di collaborare alla stesura di un’opera L’abito nuovo rielaborazione teatrale dell’omonima novella scritta dall’autore siciliano. Un De Filippo visibilmente commosso narra questo antefatto nel prologo della versione televisiva RAI (1965) dell’opera citata, che vede lo stesso attore napoletano ricoprire il ruolo di protagonista con un insolito pizzetto di pirandelliana memoria.
Proprio da questo estratto prende vita la messinscena diretta da Michelangelo Campanale. Sul lato destro del proscenio c’è Don Ferdinando (Dante Manchisi), il sarto intento a cucire un abito che non terminerà mai. Accanto a lui Crispucci (Marco Manchisi) indossa con orgoglio il suo vecchio vestito donatogli dal suo datore di lavoro, l’avvocato Boccanera (Salvatore Marci), anni or sono. Sul tavolo del sarto, oltre alla sua vecchia macchina da cucire, c’è una radio dalla quale riecheggiano le parole di Eduardo. Il suo discorso viene interrotto, si alza il sipario, si entra in una dimensione onirica.
Sulle note de La Traviata (v. ascolto consigliato ↑) si destreggia tra i fumi, sensuale e ammaliante, Nanninella, in arte Celie Bouton. La stella del circo, nonché grande seduttrice, attraversa la città trainata dai suoi cavalli, divertendosi a lanciare occhiatine ai suoi numerosi ammiratori e a frustare animali selvaggi e passanti (non proprio) a caso. Un’immagine felliniana molto breve che cede subito il passo allo studio dell’avvocato Boccanera, nato proprio da una costola della scenografia precedente. Mentre la Traviata prosegue, la base della scena circense, infatti, diventa un luminoso ufficio dal soffitto troppo basso, in cui proprio non si può evitare di azzoppare la testa, o meglio le corna.
Qui il cornuto, schernito dai suoi colleghi, è chiamato a scacciare i fantasmi del passato. Il protagonista, infatti, pur di mantenere intatta la sua onestà e il suo onore, ha sempre scelto di rinunciare alla vita piena di agi che avrebbe condotto al fianco di sua moglie Nanninella; ma la morte di quest’ultima, con la conseguente, considerevole eredità lasciata a figlia e marito lo metterà difronte a un bivio: è meglio mantenere intatti i propri ideali o farsi trasportare da un mondo materialista?
Mentre le arie dell’opera di Verdi si susseguono per, di volta in volta, sfumare le battute, enfatizzare i momenti chiave o accompagnare i dialoghi dei protagonisti; il riluttante marito allontana con ostinazione la ricchezza ereditata, facendo emergere l’avidità e il falso perbenismo di chi gli sta attorno.
Attraverso abili scelte scenografiche, il mondo edonistico e opulento di Celie Bouton è costantemente messo in contrapposizione a quello umile e grottesco di suo marito; ma i due universi opposti troveranno una sintesi nella lezione che il protagonista fornirà nell’epilogo. Crispucci, infatti, si presenta in scena ubriaco, altezzoso e violento, indossando uno sghembo abito nuovo: il patto con il diavolo è stato suggellato. Ma questo suo pirandelliano gioco delle parti non fa altro che scandalizzare i presenti e avvalorare la sua tesi iniziale. Nella sconfitta, Michele ottiene la vittoria più bella.
La compagnia ruvese La luna nel letto, dunque, lavora di fino sulla drammaturgia per concedersi le migliori intuizioni in chiave scenotecnica (Michelangelo Campanale, Olga Mascolo, Tea Primiterra, Michelangelo Volpe): un’operazione particolarmente riuscita, tanto più se si considera che l’opera in questione è stata così poco rappresentata perfino dallo stesso De Filippo.
Ascolto consigliato
Teatro Kismet, Bari – 7 gennaio 2016