La fiamma ardente della presunzione umana
Al Brancaccino 'Fare un fuoco' di Muta Imago
Quando ci sono sessanta gradi sotto zero, pensare non conta: si può soltanto essere, al massimo agire ed essere rapidi. Forse l’unico pensiero possibile per il protagonista di Farsi un fuoco di Jack London è mantenere un calore corporeo tale da non soccombere al freddo. In un profondo Nord l’uomo deve infatti attraversare i territori innevati dello Yukon per raggiungere una miniera sull’Henderson Creek, dove lo aspettano i suoi compagni. Un uomo solo a sessanta gradi sotto zero accompagnato soltanto dal suo cane lupo, riluttante al viaggio ma pur sempre compagno fedele deve saper dominare la natura, se vuole sfidarla. E certo deve saper fare un fuoco, se vuole sopravvivere.
All’apertura del sipario del Brancaccino, uno schermo circolare funge sia da scenografia che da personaggio principale di Come fare un fuoco di Muta Imago: installazione video-sonora che parte proprio dal racconto di London per declinarlo in rappresentazione sperimentale.
Un paesaggio bianco interrotto da lingue di terra nera scorre ora sullo schermo, mentre la voce narrante calma e neutra di Riccardo Fazi inizia a raccontare la storia di un uomo che si inoltra in una natura ostile, piena di insidie, leopardiana nel suo essere indifferente alle sofferenze dell’uomo, immerso in un freddo così pungente da trasformare ogni lembo di carne scoperta in ghiaccio insensibile. E così, quando disgraziatamente quel ghiaccio si sgretola sotto i suoi piedi, facendolo cadere in una sorgente di acqua nascosta, non ci sono dubbi: deve fare un fuoco e non può sbagliare, perché la Natura non concede una seconda opportunità.
Muta Imago utilizza il teatro per contaminarlo con il cinema e la letteratura, creando così un’installazione dove musica, voce e immagine si compenetrano in un ingranaggio efficace che coinvolge a livello visivo, sensoriale ed emotivo. Le immagini ipnotiche e suggestive (video Maria Elena Fusacchia) fondono paesaggio reale e visioni astratte, in un continuo rimando fra l’esterno e il paesaggio interiore del protagonista; la musica oscura e incombente (musiche originali V. L. Wildpanner) accompagna la vicenda amplificandone le percezioni visive e uditive (disegno sonoro Riccardo Fazi), dando vita così a un’atmosfera di suspense che in poco meno di un’ora tiene il fiato sospeso e rende il pubblico co-partecipe di ciò che accade.
Pur nella sua brevità e linearità, il racconto di London innesca così una riflessione profonda sulla dialettica fra l’innocenza dell’istinto e la presunzione della ragione; sull’uomo posto in stretto contatto con quella Natura infallibile che si illude di poter dominare. Una Natura che in realtà azzera qualsiasi contrapposizione, proprio perché capace di livellare l’esperienza di ogni essere umano: davanti al mero istinto di sopravvivenza non c’è cultura che tenga, l’orrore di vedere la morte lascia emergere gli istinti più bassi e universali del protagonista nei loro aspetti più crudeli e grotteschi.
C’è un fuoco salvifico che sottrae alla morte e un altro che arde dentro l’uomo la volontà di superare i propri limiti che porta alla distruzione. Con Fare un fuoco, Muta Imago sembra allora dirci che il monito di London quella corsa folle che porta a volere sempre di più di quanto si ha bisogno, soprattutto dalla Natura, ormai piegata agli interessi dell’uomo e sfruttata a livelli insostenibili non deve passare inosservato.
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