Al Quadraro l’umanità in rovine di Beckett
Didi, Gogo e Godot di Markus Herlyn
Nel 1949, per distrarsi dalla sua attività narrativa, Samuel Beckett scriveva En attendant Godot, testo cardine del secondo Novecento che avrebbe cambiato per sempre la visione del teatro di lì in avanti. Nel celebre dramma dell’attesa di Vladimir ed Estragon nei confronti di un imprecisato Godot che sia una persona, un fine ultimo, Dio stesso Beckett ridefiniva la condizione dell’umanità dopo gli orrori della seconda guerra mondiale: inconsistente, ripetitiva, dove il linguaggio è svuotato di qualsiasi potere significante e il tempo appiattito in un eterno presente ormai privo di valore.
A dimostrazione di quanto i nodi essenziali del teatro di Beckett siano tuttora inesauribili, ecco approdare al Centro Sociale Occupato Spartaco, nel cuore del Quadraro, Didi Gogo e Godot, studio tratto dal primo atto di Aspettando Godot per la regia del tedesco Markus Herlyn. Lo spettacolo è presentato all’interno della rassegna Detriti, autogestita dal CSOA, che si propone di diffondere un teatro indipendente e popolare, per far sì che questo sia un momento di confronto e aggregazione sociale, come prevede la vivace formula spettacolo più apericena.
E in effetti Detriti è un nome che si addice particolarmente bene a un autore che più di tutti ha rappresentato l’umanità in rovina, dando inizio a quel processo di progressivo disgregamento dell’io che porterà l’essere umano a una bocca illuminata da un riflettore, o a una voce, fino ad arrivare al silenzio condizione zero da cui non si può far altro che ricominciare.
In uno spaziotempo post-atomico, lo scheletro di un alberello in un angolo e un’atmosfera pervasa da luce blu, il primo a entrare è Gogo (Estragon), seguito da Didi (Vladimir), in braghe e bombetta, come vogliono le puntigliose didascalie di Beckett. Senza le incursioni di Pozzo e Lucky la scena si concentrerà allora sui due grotteschi protagonisti, che, come marionette guidate da fili invisibili, cominciano con una partitura silenziosa di movimenti che segna da subito un approccio fisico alla recitazione, frutto di una formazione teatrale degli attori (Federico Favetti e Giancarlo Vulpes) di stampo russo. È il corpo che porta alla parola, non viceversa; i movimenti a tratti esasperati, giocosi sono tanti quanti i pensieri che li attivano, persino l’immobilitàè sintomo di un continuo lavorio interiore.
Così, Didi e Gogo si agitano nello spazio, instaurando quasi un rapporto fra padre e figlio in cui Gogo è il più ingenuo e Didi conduce il gioco, mentre succede quello che ci si aspetta da Aspettando Godot: niente. Tra ricordi sbiaditi, litigi, citazioni della Bibbia, idee bislacche di impiccagione, il tempo passa con qualche licenza poetica di troppo, come le incursioni dei due protagonisti fra il pubblico seguite dalle parole di Felicità di Al Bano e Romina Power da cantare tutti insieme. E certo, anche se siamo nel teatro dell’assurdo, questa è la parte meno riuscita, perché lo strabordare improvviso di stimoli cozza inevitabilmente con l’essenzialità e il lavoro di estrema limatura del significato portato avanti da Beckett nei suoi testi.
Didi Gogo e Godot crea un’atmosfera giocosa, quasi fiabesca, come suggerisce il titolo, che ribadisce ancora una volta la piccolezza dell’uomo rispetto alla vastità di una vita senza senso: proprio ciò che rende Beckett un autore immortale da cui non si può prescindere. Con un valore aggiunto, però, che qui teatro autoprodotto, popolare e creativo quello che si propone di diffondere Detriti non è un semplice slogan da programma di sala ma una felice realtà.
Ascolto consigliato
Centro Sociale Occupato Spartaco, Roma – 20 dicembre 2015