Foto di scena ©Valeria Tomasulo

Intenso ma forse troppo

L'Inverno di Fosse diretto da Vincenzo Manna

Accostarsi all’opera di Jon Fosse è sempre una sfida impegnativa e delicata, dalla quale però, oggi, è davvero difficile sottrarsi. Lo scrittore, considerato il più grande drammaturgo norvegese dopo Ibsen, è, infatti, tra i più rappresentati in patria e all’estero. I suoi testi, tradotti in oltre quaranta lingue, l’hanno consacrato come uno dei più grandi autori della scena teatrale contemporanea.

I suoi scritti sono caratterizzati dall’uso di parole quotidiane, un vocabolario scarno in cui la musicalità del verso – aspetto fondamentale del suo universo poetico – incrocia lunghi silenzi dando consistenza a quello che è considerato il linguaggio dell’incomunicabilità. Parole ripetute e prive di sottotesto, psicologie o significati nascosti: all’attore non resta che accogliere i suoni delle battute, il loro ritmo, per creare emozioni che nascono dall’incontro corpo-voce. In tale incontro la lingua è l’aspetto basilare e decisivo: è essa a trascinare il personaggio, mai il contrario.

Caratteristiche essenziali anche per Inverno, un’opera che più di altre va a esplorare gli stati d’animo umani, qui in un adattamento di Vincenzo Manna che ne stravolge la forma e il contenuto.

Foto di scena ©Valeria Tomasulo

Nel testo scritto e pensato da Fosse, infatti, i due protagonisti sono un uomo e una donna che, per le rispettive condizioni sociali, danno vita a un incontro e a una relazione impossibile. Manna decide, invece, di superare la distinzione di genere e affidare la scena a due donne. La prima (Flaminia Cuzzoli) è una giovane prostituta, la seconda (Anna Paola Vellaccio) è una donna d’affari e madre di famiglia. Il loro incontro avviene in un parco, dove la più giovane, di ritorno da una notte brava, attira l’attenzione dell’altra in quello che è l’inizio di un rapporto di amore, odio, incomprensione e speranza.

Foto di scena ©Valeria Tomasulo

La scena è completamente sgombra e gli ambienti (il parco e una camera d’albergo) sono delineati da luci al neon. In questo spazio vuoto le due donne s’incrociano, si rincorrono e finiscono – a colpi di musica, linguaggio a volte osceno e gestualità irriverente – per inglobarsi l’una nell’altra, arrivando a consumare il proprio rapporto in un’astratta danza macabra. Proprio l’azione, in alcuni casi, supera la parola e per questo le scelte registiche sembrerebbero tradire in qualche misura la poetica di Fosse.

Se il testo è rimasto pressoché intatto, la corporeità delle due attrici e la forte caratterizzazione psicologica delle stesse vanno in controtendenza a quelli che sono i cardini dell’universo Fosse. Manna non si lascia solo trasportare dall’armonia dei versi ma cerca di mettere a nudo le protagoniste, di capire e far comprendere chi sono, di cosa parlano realmente, di esplorare le sfumature delle due personalità; lasciando spazio a quell’interpretazione personale che non può non snaturare la forma dell’opera originale.

Foto di scena ©Valeria Tomasulo

Un’operazione coraggiosa e lecita, ma che, in definitiva, ottiene come risultato un depotenziamento della parola e, di conseguenza, della sua musicalità.

Ascolto consigliato

Teatro Kismet, Bari – 5 dicembre 2015

Grazie


Per 15 anni Paper Street è stata una rivista on-line di informazione culturale che ha seguito con i suoi accreditati i principali festival europei di cinema e musica: decine di collaboratori hanno scritto da tutta la penisola dando vita ad un archivio composto da centinaia di articoli, articoli che restano a disposizione di voi lettori che siete stati un numero incalcolabile nonché il motivo per cui, per tanto tempo, abbiamo scritto con passione per questo progetto editoriale che ci ha riempiti di soddisfazioni.

This will close in 30 seconds