Il dono della libertà
Amore e Eutanasia in 'Orfeo ed Euridice' di César Brie
Alcuni antropologi studiando le popolazioni del Sud America ancora incontaminate dalla vita civile sono venuti a conoscenza di una strana abitudine. Durante le battute di pesca, che impiegano gli uomini delle tribù anche per giorni, se qualcuno cade accidentalmente dalla canoa, non viene soccorso dagli altri compagni, anzi viene aiutato ad annegare.
Gli Indios, educati secondo una tradizione secolare, sanno che l’aumento di entropia scaturito dalle operazioni di salvataggio non farebbe altro che avvicinare di più la morte generale dell’universo; mentre aiutando il malcapitato a morire si risparmia energia e si preserva il creato. Questa è stata la spiegazione scientifica degli studiosi.
Per la nostra società educata a considerare la morte come una fine irreversibile un comportamento del genere è ritenuto assurdo, privo di ogni logica razionale. Eppure se da millenni queste popolazioni “primitive” vivono in pace e in armonia con la Natura una delle ragioni potrebbe essere proprio il fatto che considerino la morte come un momento di trasformazione e non di fine.
Nella mitologia occidentale c’è un personaggio che si ostina a non accettare questo cambiamento, questa trasformazione: è Orfeo che, traumatizzato dalla morte della sua Euridice, fa di tutto per riportala in vita. Si oppone alle regole della Natura, armato della sua lira scende nell’Ade, sfida il regno dei morti e le sue regole, ma proprio quando sta per riavere la sua amata commette una leggerezza (forse il volere inconscio della legge naturale) e la perde per sempre.
A questo mito s’ispira Orfeo ed Euridice del regista argentino César Brie andato in scena al Teatro dell’Orologio la scorsa settimana.
L’eutanasia, è questo il centro della vicenda, ovvero l’ostinazione di non darla vinta alla morte. Un egoismo, una superbia che ha portato l’uomo moderno a porsi al di sopra delle leggi naturali che controllano l’universo.
Così Giacomo (Giacomo Ferraù) si trova a dover combattere contro medici e burocrazia per poter lasciare andare Giulia, la sua Euridice (Giulia Viana) in stato vegetativo dopo un incidente stradale. Dietro la finzione narrativa della storia si nascondono testimonianze vere, come quella della famiglia di Eluana Englaro, scorci di vita quotidiana, giornate in ospedale trascorse di fronte a un corpo inerme eppure vivo.
Lo spettacolo racconta questo percorso di sofferenza e dolore ma anche la storia di un amore e di una complicità unica, con la visionaria scrittura scenica di Brie che non ha bisogno di scenografie per mostrare; tutto ciò che serve è una strada bianca, sudario di crescita, che si trasforma in casa accogliente, nido d’amore e freddo ospedale.
Protagonista assoluta della vicenda è la Morte: ruolo paradossalmente scherzoso e divertente coperto da un Caronte siciliano che come un cantastorie accompagna gli spettatori nella vicenda.
Nonostante l’impegno civile e morale dello spettacolo nel testimoniare la sofferenza coatta di chi si trova in un simile limbo, Orfeo e Euridice non intende in alcun modo schierarsi dalla parte di chi è favorevole all’eutanasia, vuole essere, piuttosto, solamente il racconto struggente di una storia d’amore con un lieto fine diverso: il dono della libertà, atto d’amore imprescindibile anche di fronte alla morte.
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 17 novembre 2015