Foto di scena ©Manuela Giusto

La paura di volare

All'Orologio debutta 'Gli Uccelli Migratori' di TeatroDiLina

Prima di poter volare, l’anima deve fare un bagno di polvere, come gli uccelli.
Maura Del Serra

In una vecchia fiaba si raccontava che per volare bastano pensieri felici e polvere di fata. Certo, stupidamente costretti come siamo a crescere – e a farlo in fretta – dimentichiamo facilmente quanto possa essere liberatorio abbandonarsi in un volo di fantasia e scoprire di avere le ali dell’immaginazione forti abbastanza da sorreggere la nostra vita in equilibrio perfetto tra desiderio e paura.

Tra delicatezza e ironia, profondità e leggerezza, Teatrodilina ci ha abituato a un magnifico sforzo di semplicità, spettacoli che funzionano come parentesi di riconciliazione con la purezza, solitamente sepolta dal peso della quotidianità. Non fa eccezione Gli Uccelli Migratori, ultimo (e inedito) capitolo della monografia dedicata alla compagnia dal Teatro dell’Orologio.

Questa volta siamo in una pineta. Non appena le luci si sovraimprimono all’ombra e il silenzio ai vagiti (un neonato? un volatile?), riusciamo meglio a scorgere i tronchi, che sono drappi di stoffa che calano dal soffitto. Tra gli alberi c’è la casa in cui vivono Guido (Mariano Pirrello) e Marta (Anna Bellato): sono fratello e sorella, uniti sotto lo stesso tetto dalla gravidanza imminente di lei. Marta è una creatura delicata, tradisce timore per quella nascita che tarda ad arrivare e ha il solo e iperprotettivo conforto di un fratellone strampalato, un professore alle prese con un romanzo mai concluso, ormai invecchiato con lui e con la bussola che porta con sè dall’infanzia. Non si fa in tempo a chiedersi chi sia il padre del nascituro, che alla porta di casa bussa Walter (Francesco Colella), un ingegnere stravolto dalla notizia della prossima paternità, di cui non sapeva nulla.

Marta patisce la morsa di due uomini che, goffamente, vogliono costringerla “a farsi aiutare”: esce di casa e tra gli alberi incontra Jerry, un giovane che ha la sua stessa luce negli occhi; le racconta di saper parlare con gli uccelli e di comunicare con loro per guidarli durante la migrazione, di essere, insomma, un “genitore” che guida i figli verso la libertà. Marta è affascinata ma stanca, e Jerry la accompagna a casa, dove va ad aggiungersi a Guido e Walter, componendo un terzetto di uomini in crisi, alle prese ognuno con i propri limiti.

Come sempre nei lavori della compagnia guidata da Francesco Lagi, pur trattando di esistenzialismi con uno sguardo profondo e a tratti poetico, l’ironia la fa da padrona, come un esorcismo di umanità costante che allegerisce, ma non riduce, il carico emotivo del racconto scenico.

Alla fine Marta supererà da sola le paure generate dal ventre e renderà chiara la metafora. Proprio come raccontava Jerry delle sue creature alate, una donna che sta per diventare madre per la prima volta è come un uccello sul punto di spiccare il primo volo: “Non sa che le ali possono tenerlo su. Cade, e poi, all’improvviso rimane su”.

E allora, che ci costa credere che sia così? Se bastasse davvero buttarsi per imparare a volare?

Letture consigliate:
• Le vacanze dei signori Lagonìa – Teatrodilina, di Adriano Sgobba
• Zigulì – Teatrodilina, di Laura Marano
• Banane – Teatrodilina, di Nicole Jallin

Teatro dell’orologio, Roma – 12 novembre 2015

Grazie


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