Corso involontario per l’uso di evidenti debolezze
Debutta al Brancaccino il nuovo spettacolo di Virginia Franchi e Lorenzo Gioielli
Complessi, sogni, totem, tabù: per quanto ormai le sue teorie siano ampiamente superate, Freud rimane nell’immaginario collettivo il grande maestro dei misteri della mente. Non tutti però sanno che, già in vita, il padre della psicanalisi ebbe un profondo ripensamento; nel ’20 mise tutto in discussione, ribaltò il suo sistema e pubblicò Al di là del principio di piacere. Cosa c’entra con lo spettacolo in scena al Brancaccino? Entrambi partono dalla morte. Ma lasciamo un attimo l’austriaco per spostarci nella piccola sala all’Esquilino.
Buio. Dal fondale nero compare una strana coppia: lui è un presentatore-capocomico affabile e un po’ affettato (Lorenzo Gioielli, anche autore), lei invece è la sua pallida assistente (Elisa Di Eusanio, la migliore in scena); i due si avvicinano al pubblico e con nonchalance pronosticano un inatteso spettacolo: di qui a un anno, uno degli spettatori morirà. Sì sì, davvero! Tra risa divertite e qualche silenzio superstizioso, l’idea della morte insomma fa il suo ingresso. Ma questo è solo un livello dello spettacolo. Tornati al di qua della quarte parete, infatti, avrà inizio il dramma, e così assisteremo alla storia vera e propria, anzi a due, una dentro l’altra. E Freud? Ora ci arriviamo.
Dicevamo, da una parte entra in scena un signore su una sedia a rotelle (Andrea Lolli), sulla cinquantina, che afferma di essere il defunto predecessore del regista nonché, scopriremo, il vecchio compagno dell’assistente. Dall’altra, invece, compaiono due coppie di giovani, che tra ossessioni, tradimenti e silenzi insceneranno un dramma coniugale. Complicato? Semplifichiamo: primo piano, la morte attende in sala; secondo, la morte è un cinico regista che impone la verità e disturba la messa in scena; terzo, la morte è un tarlo travestito da mostro che ossessiona i rapporti di coppia.
Perché la morte è così importante? In tarda età, Freud cominciò a pensare che anziché il principio di piacere o quello di sopravvivenza, a muovere gli istinti dell’uomo in realtà fossero inconsce pulsioni di morte: nel momento in cui nasciamo entriamo nel ciclo della vita e quindi, inevitabilmente, ci apprestiamo alla morte. Lungo il percorso però, proseguiva Freud, ci mescoliamo alle vite degli altri e lo scambio genera continuo rinnovamento cellulare che ritarda e inverte il naturale processo di autodistruzione.
Seppur imbrigliandosi, a tratti, in troppi intrecci interni, Corso involontario per l’uso di evidenti debolezze (regia di Virginia Franchi) ci mostra proprio il conturbante incontro di amore e morte, di come ogni chiusura, ogni ripiegamento su sé stessi – sia per orgoglio, dolore o insicurezza –, genera una solitudine impermeabile che nega lo scambio e dunque accelera bruscamente l’incontro con la morte.
Muore, così, chi non si confida, chi crede di sapere già tutto, chi non vuole ascoltare: muore e altresì condannerà gli altri alla morte; perché, come emerge da questa seconda produzione del collettivo LISA (scopri qui Tortuga), quando la debolezza si trasforma in presunzione di affetto—corrode i sentimenti, alimenta rancori e spinge stupidamente gli uni contro gli altri. Forse allora l’amore è proprio questo: liberarsi dall’ossessione di sé stessi, della propria morte, e farsi incontro agli altri.
Chissà, ieri per lo meno è accaduto, e alla fine in sala non è morto nessuno.
Teatro Brancaccino, Roma – maggio 2015