Piccoli suicidi in ottava rima – Sacchi di sabbia
A volte basta poco per fare Teatro: un’idea originale, un gruppo di attori che porta avanti un lavoro di ricerca espressiva con costanza e passione; e un pubblico ricettivo che fiuta la qualità e l’onestà intellettuale del lavoro. Ecco presentati i Sacchi di Sabbia, compagnia pisana nata nel ’95 in scena questi giorni al teatro Argot con Piccoli suicidi in Ottava rima, per la regia di Giovanni Guerrieri. Si tratta di piccoli sketch che vanno dal western all’avventura fino ad arrivare alla fantascienza, recitati con le tecniche del «maggio drammatico», un’antica forma di «recitar cantando» in ottava rima e in quartine di ottonari tipica delle zone dell’Appennino tosco-emiliano.
In uno spazio spoglio, tutto è messo in campo, senza paura di finzioni di sorta: vediamo le sedie all’angolo del palco, dove gli attori si cambieranno in diretta secondo le evoluzioni dei personaggi; sappiamo che gli episodi saranno quattro – ognuno con la sua tecnica – come spiega Giulia Solano che, seduta in un angolo, come un arbitro imparziale scandisce dall’esterno le vicende di questo ring della parodia e arricchisce i vari racconti di effetti vocali virtuosistici.
In scena, Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri e Enzo Iliano daranno vita quindi al duello tra Pat Garret e Billy the Kid – che non riescono a morire nonostante gli sforzi –, a un lupo non più cattivo braccato da tre cappuccetti rossi, a un sussidiario illustrato della procreazione dove è inscenata la lotta degli spermatozoi vestiti da astronauti – neanche fosse una missione della Nasa – per raggiungere l’ovulo. Infine, un napoletano depresso colto a guardare La gatta sul tetto che scotta del 1958 con Liz Taylor vedrà nell’arrivo di un marziano un motivo felice di distrazione.
Fin dai primi versi declamati, la cantilena della rima ci riporta a un teatro di strada di antica memoria, ma non lasciamoci ingannare perché la realtà irrompe sulla scena, che sia con un paio di converse, o con la melodia accennata di Bloodbuzz Ohio dei National, per non parlare poi del linguaggio a noi contemporaneo che a volte si insinua nelle rime, creando una commistione spiazzante fra arcaico e moderno.
È infatti nel contrasto che possiamo ritrovare la cifra stilistica dei Sacchi di Sabbia: quello fra tradizione e sperimentazione, ironia e malinconia, alto e popolare (e dove altro il lupo di cappuccetto rosso si ribella al suo ruolo per poter declamare le poesie di Rilke). Un effetto che produce una comicità esilarante, grazie alla bravura e alla serietà imperturbabile degli attori che sanno dare colore ad ogni gesto, ogni suono onomatopeico, ogni espressione facciale, tutti elementi che diventano molto presto motivo di risate sincere.
I «canti del maggio» celebravano la rinascita della primavera e di conseguenza erano anche un modo per scongiurare la morte. Così è anche per questi «piccoli suicidi» che ci regalano delle pillole di vita brillanti, in grado di sottrarre ogni intralcio a un rapporto essenziale e diretto tra attore e parola; una parola che ha il rigore della ricerca e la leggerezza dell’intelligenza.
Teatro Argot Studio, Roma – 8 maggio 2015