Un uomo attraversa uno spazio vuoto, un altro lo osserva, già questo è teatro, così Peter Brook in The Empty space. Perché partire da qua per La prossima stagione di e con Michele Santeramo? Perché ci si incuriosisce, ci si stupisce nell’accorgersi che, da quando l’autore pugliese dà l’avvio a questo spettacolo da leggere, ogni cosa se data al meglio – può provocare turbamento.
E già questo è teatro.
Lentamente Michele Santeramo – camicia bianca, pantaloni e scarpe scure si avvicina al leggio in scena. Si china leggermente mostrando, così, una chioma indomita di capelli. Guarda alla sua destra il grande schermo che sta quasi al suo fianco ed inizia a narrare di Viola e Massimo. Questo silenzio parla e già questo è teatro.
Viola e Massimo sono immagini (Cristina Gardumi) proiettate sul grande dispositivo, sono creature quasi mitologiche con il corpo per metà umano e la testa di animale. Oggi hanno trent’anni e dentro quella cornice, talvolta gabbia, passeranno la loro vita fino al 2065. Cinquanta anni di immagini delicate e di (dis)umanità immaginata la nostra. Lo scarto tra la squisitezza delle proiezioni e un testo che fa accuratamente male – “crudele”, come direbbe Artaud entra dritto in platea, entra dritto nella vita e già questo è teatro.
Viola e Massimo sono appunto proiezioni, esistenze gettate in avanti: su uno schermo, nella vita, in un presente e un futuro che non comprendono e da cui non sono compresi perché rigettati. Come Giani bifronti in lotta con il tempo, se ne riscoprono costantemente estromessi: forse in ritardo rispetto alla crisi, al tirar su una famiglia, al cercare di arrivare alla fine del mese, o forse in anticipo rispetto a quel futuro che già è e impone la sua ombra su due immagini in pericolo.
Michele Santeramo, con il suo calore e il suo peso vocale, rende plastici i sogni di Viola e Massimo quando, giovani, potevano ancora usare il tempo del congiuntivo per immaginare il loro futuro e quando, vecchi, vivono i ricordi come dittature del pensiero, imperativi cui sottrarsi.
Colori di fiaba e parole taglienti come una ghigliottina ci svegliano dal sortilegio quotidiano, regalandoci cinquanta minuti in cui poter immaginare. E già questo è teatro.
Teatro Era, Pontedera – 29 gennaio 2015