7 minuti e ancora una volta l’autore fiorentino Stefano Massini parte da un fatto di cronaca per accendere i riflettori sul presente. Non importa se tutto sia successo nel 2012 a Yssingeaux nell’Alta Loira in una fabbrica tessile, perché la crisi ci ha abituato a riconoscere coordinate comuni al di là (o al di qua) di ogni confine politico-geografico.
È così, infatti, che il consiglio di fabbrica di undici lavoratrici, che temono di esser licenziate dalle nuove cravatte, diventa un fermo immagine dell’attualità: delle nostre paure quotidiane, delle dinamiche (inter)personali anche politicamente scorrette (ma che la prospettiva della perdita di uno stipendio dissotterra), delle forze sociali le cui basi poggiano su un terreno desertico che cambia forma non appena gira il vento.
La regia di Alessandro Gassmann tiene fisso lo sguardo sul centro dell’azione: gli interni di uno spogliatoio, con un tavolino, gli armadietti e qualche sedia appena. Tutto si svolge lì, zoomando (anche grazie alle videografie di Marco Schiavoni e al disegno luci di Marco Palmieri) su questa cabina di regia in mano a nove operaie e due impiegate, che devono decidere se accettare o meno la proposta che Bianca (Ottavia Piccolo), loro portavoce, ha riportato dopo ore di incontro con i capi.
Rinunciare a sette minuti della pausa. Niente di più: nessun licenziamento, nessuna delocalizzazione, nessuna riduzione di stipendio, solo sette minuti. Stupefatte, contente e sollevate le dieci donne decidono subito di accettare, ma Bianca richiama alla prudenza e afferma il suo no. Non ha certezze, non è sicura, vuole parlarne. E di cosa? Con i tempi che corrono? Tutte sono incredule, ma Bianca insiste, questa proposta sembra un ricatto: come se dietro ci fosse un Azzeccagarbugli che risponde a grida dispotiche operanti al ribasso.
Ottavia Piccolo attrae magneticamente la platea e le sue colleghe non solo verso ciò che quei sette minuti possono significare un lusso da barattare gratuitamente o un diritto acquisito da difendere , ma anche verso una rarità che la crisi falcidia in silenzio e su cui la drammaturgia affilata davvero come un pettine di telaio batte invece con regolarità: il modo di pensare novecentesco, il pensiero critico di cui Bianca è parola, può sopravvivere oggi?
Come Henry Fonda ne La parola ai giurati, Bianca vorrebbe giungere a una decisione “ogni oltre ragionevole dubbio”; ma questo è permesso? Esprimere un’idea, seguirla, cercare di sviscerarla insieme, non è forse un lusso che si possono permettere solo i sessantenni, come Bianca, quasi in età da pensione? Davanti a un mutuo, al sogno di sposarsi, ai figli da mantenere, perché pensare al valore etico e morale rappresentato da “sette minuti”?
Il guaio è che per Bianca i sette minuti rappresentano e sono un valore. E così quanto più fatica a scindere le due cose, tanto più le sue colleghe se ne sentono estranee. Sono mondi, epoche che si scontrano: chi di teorie ha vissuto e chi crede che non gli appartengano affatto. Eppure, alcune delle donne ne rimarranno attratte; e quando, infine, la nottata sarà passata, qualcuna, determinata, dirà: Ho deciso…
Teatro Manzoni, Pistoia – 5 dicembre 2014