Chi si nasconde dietro quella maschera?
Da quando il consumismo ha reso tutti democraticamente alienati, una domanda del genere ha perso la sua carica di mistero; e così, oggigiorno, i traumi irrisolti della contemporaneità ci spingono a porci nuovi interrogativi: se questo viso non ci appartiene più, quale nuova faccia mai potremmo volervi incidere sopra?
Se c’è un classico che da più di quattro secoli riesce a rompere il confortante riparo della maschera questo è senza dubbio l’Amleto, una tragedia che squarcia tele e sovverte ordini, convergendo nella tensione drammatica e fatale del suo protagonista ad affermare la verità, o meglio, a svelare la truffa della menzogna. Appare, pertanto, quasi naturale la scelta della compagnia umbra OcchiSulMondo di voler riallacciarsi allo strappo shakespeariano – con lo spettacolo Un Principe—proprio a partire da una maschera.
Sullo sfondo, schiacciati da una tela bassa che li incornicia come pupazzi in un fato ineludibile, si stagliano i personaggi, le dramatis personae (e vale la pena ricordare che in latino persona significa proprio “maschera”): il bianco cereo dei loro volti, però, è segnato da un’ombra scura che ne contraddice l’apparente imperturbabilità (costumi Francesco Marchetti “SKIZZO”); così, quando le marionette umane prendono vita e cominciano ad avanzare meccanicamente sulla scena, la luce ne dilata l’espressione grottesca, presagendo già in quel silenzio eloquente tutto il dramma che si consumerà di lì a poco tra assassinî nascosti, spettri redivivi, intrighi, suicidî e duelli.
Nella rielaborazione drammaturgica del regista Massimiliano Burini, la maschera, tuttavia, non è soltanto un contrappunto formale: se è vero, infatti, che Amleto è colui che appone sul suo viso una “falsa” pazzia per smascherare le menzogne altrui – fosse anche l’innocenza di Ofelia (una delicatissima Greta Oldoni), imprigionata in un’armatura morbida di rosa scarnificato -, è proprio dal suo pulito e imberbe pallore che emerge, per contrasto, tutta la corruzione morale delle facce altrui, quelle “vere”.
Fragilissimo e impacciato nella propria lotta interiore, dunque, questo Amleto (un Daniele Aurelli attento nella misura) manifesta la potenza del suo personaggio senza ricorrere all’eloquio retorico che da sempre lo contraddistingue, concentrandosi bensì sull’espressività del gesto minimo che nella sua essenzialità restituisce un’immediatezza drammatica da Teatro Nō. Ecco insomma che la delicatezza, la sensibilità, i dubbi bisbigliati a mezza voce da questo Un Principe – non più “soltanto” di Danimarca – ci mostrano una rivolta timida ma determinata al “marcio” di quel vasto regno chiamato mondo (un grande palloncino terracqueo volteggiante nell’aria); e con una profondità di umore orientale, umiltà e debolezza si trasformano allora nella vera forza dell’individuo solo.
Perché il vero dramma non è indossare una maschera, ma rinunciarvi, mettersi a nudo, perseguire comunque la verità, e accettare, al tempo stesso, di vivere in un mondo di fantocci.
Ascolto consigliato
Teatro Clitunno, Trevi (PG) – 9 gennaio 2015
In apertura: Foto di scena ©Daniele Burini