11.25 The Day Mishima Chose His Own Fate – Koji Wakamatsu
Il sacrificio come ascensione, come affermazione e resistenza. Questo è 11.25 The Day Mishima Chose His Own Fate, ultima fatica di Koji Wakamatsu. Un film che restituisce al cinema stesso la grande dignità di essere strumento privilegiato di analisi politica e sociale. Wakamatsu mette in scena i dieci anni precedenti a quel tragico giorno. Attraverso dialoghi, immagini di repertorio ed erranze nei propri luoghi, riesce a definire gli aspetti più complessi della personalità di Mishima, ne coglie i momenti più intimi e quelli distaccati in cui la solitudine si inghiottisce tutto
Nonostante l’enorme distanza con le convinzioni ideologiche-politiche di Mishima, Wakamatsu ne riesce a restituire in maniera splendida la fibra umana e la forza possente con cui portava avanti le proprie idee. Fino alla fine, all’ultima apparizione quasi disperata nella propria estrema solitudine. Così il suicidio diviene atto di salvezza soggettiva, per affermazione della propria vita. Ci sono nell’atto di non esserci.
La scena finale poi libera tutto ciò che il film ha trattenuto nel suo scorrere rinchiuso entro se stesso. In un bar, la moglie di Mishima chiede ad un suo adepto, come il marito ha affrontato l’ultimo atto della propria vita. Lui non risponde, è immobile, lascia il bicchiere, allarga le braccia e le alza al cielo. Un sacrificio per l’affermazione della vita. Forse Mishima ha voluto solo quello e Wakamatsu (pur essendo lontano anni luce da quel personaggio) ne colma il senso, lo comprende e ce lo restituisce con una leggerezza stupefacente e una bellezza disarmante.