Spike Lee
100 registi (e tantissimi film) che migliorano una vita
Newyorkese di Brooklyn, afroamericano, Spike Lee compie la sua educazione sentimentale tra i concerti jazz del padre, la piccionaia del Madison Square Garden e la facoltà di cinema della New York University, nel cui ambito porta a termine i primi lavori. Un regista impegnato in prima linea nella distruzione di tutti i ghetti, fisici ma soprattutto intellettuali, a partire da un osservatorio privilegiato riguardo la cultura nera ma con l’ambizione e la forza espressiva di cercare di cambiare l’America tutta.
Una politica d’autore già perfettamente limpida nel 1986 quando fa il suo esordio ufficiale con Lola Darling: un film che affranca la rappresentazione degli afroamericani dal ghetto estetico della serie B, dagli stereotipi della blaxploitation, raccontando in elegante bianco e nero e con soluzioni creative che si rifanno al cinema d’arte europeo la storia di una giovane donna e della sua irrequietezza sentimentale.
Al centro, madre e matrigna, crogiuolo di razze e di razzismi, colorata e tetra, violenta e bellissima, New York. Perché, come dicono da quelle parti, puoi portare un newyorkese fuori da New York ma mai New York fuori da un newyorkese. Amata e odiata patria protagonista indiscussa di tanti grandi film, come in Fa’ la cosa giusta, assoluto capolavoro del primo Lee, dove un’elettricità cattiva corre come le note di Fight the Power ripetute da cento radio nelle vie di una torrida Bed Stuy mentre una tensione di odio razziale emerge fino a esplodere intorno ad una pizzeria italiana.
New York visitata in ogni suo quartiere, la Benson Hurst degli italiani di Summer of Sam; la Coney Island dei campetti da basket di He Got Game; l’Harlem che cambia la vita di Malcolm X, da malavitoso di quartiere a icona della liberazione nera; i grattacieli di Downtown dove si compie l’amara parabola del produttore Tv di Bamboozled. New York accusata ed esaltata nell’epocale invettiva, topografica e sociale, di Montgomery Brogan, lo spacciatore in attesa di scontare la sua pena de La 25a ora, il primo film a fare direttamente i conti con la ferita aperta di Ground Zero.
Abrasivo e controverso, partigiano sempre, personaggio lui stesso dentro e fuori lo schermo, un po’ profeta un po’ grillo parlante, Spike Lee è una delle più profonde coscienze critiche del cinema americano, capace di mettere in luce con coraggio e spietatezza i pregiudizi, l’impatto devastante della monocultura dei mass media, la violenza sempre pronta a esplodere, le diseguaglianze sociali che corrompono e accasciano il suo Paese. È impossibile chiedergli di scendere a compromessi, come sbagliato sarebbe ridurlo a portavoce della rabbia razziale in un’ottica di contrapposizione da Black Panther, visto che proprio della chiusura mentale e dell’ignoranza di tanti afroamericani è stato sempre il più feroce accusatore.